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Fed

Che cosa si dice a Wall Street della Fed e delle baruffe anti crisi fra Repubblicani e Democratici

 Il commento ai mercati finanziari a cura di Giuseppe Sersale, strategist di Anthilia Capital Partners Sgr

Ieri sera, la Fed ha sostanzialmente confermato la modifica dei suoi mandati, estendendo la forward guidance sui tassi: questi resteranno ai livelli attuali fino a che il mercato del lavoro non sarà tornato alla piena occupazione, e l’inflazione sarà tornata al 2% e mostrerà la capacità di mantenersi moderatamente al  di sopra di quel livello per qualche tempo.

La guidance è confermata dalla Dot plot, che mostra che il Committee ritiene che i Fed Funds resteranno allo 0-0.25% fino al 2023, anno in cui le  projections stimano il ritorno della PCE inflation al 2%. Le condizioni devono essere tutte rispettate per dare il  via ai rialzi, e due di esse, “maximum employment” e “moderately exceed 2%”sono sufficientemente vaghe da offrire alla FED un bel po’ di margine di manovra.

Tra l’altro, come nota Tim Duy, la Fed implicitamente promette tassi reali a -2%, se effettivamente nel 2023 l’inflazione sarà al  2% e i Fed Funds ancora a 0-0.25%. Un quadro decisamente dovish.

Perchè allora la reazione negativa del mercato, con l’azionario e l’oro in calo, e i rendimenti in rialzo?

Direi che vi è il concorso di 2 motivazioni:

1)  la fretta con cui Powell era corso, a Jackson Hole a modificare i mandati su inflazione e occupazione ha forse indotto alcuni a pensare che il policy mix sarebbe cambiato immediatamente, magari con una modifica del programma di acquisti in direzione di una maggiore duration, o maggiori acquisti di mortgages. Invece la Fed giustamente non ha fretta, e questo potrebbe aver deluso un mercato ormai viziato.

2) Con la Fed alle spalle, l’attenzione degli investitori torna a fissarsi su altri catalyst, tra i quali un triple witching (scadenze tecniche di futures e opzioni) domani che si annuncia tribolato, in virtù di quanto emerso le scorse settimane a proposito dell’operatività di Softbank, e del retail. E un secondo argomento che sta guadagnando peso è quello delle elezioni presidenziali. Solitamente le ultime 6 settimane sono quelle in cui l’influenza si dispiega sui mercati. Questa tornata si annuncia particolarmente incerta, con Trump ancora in svantaggio, ma in recupero tendenziale fino a pochi giorni fa. A complicare la situazione, l’elevata probabilità che Donald, in caso di sconfitta di misura, contesterà il risultato, prolungando stallo e incertezza e contribuendo ad agitare un panorama politico ormai estremamente polarizzato.

Sta di fatto che gli indici Usa, dopo un iniziale tentativo di rally, hanno invertito la marcia per chiudere in negativo (S&P 500 – 0.46%) guidati dal Nasdaq 100 (-1.67%). Che la Fed non sia l’unico motivo del calo lo mostra la dispersione della performanche tra i settori, con tech software etc pesanti, e settori come financials e industrials in progresso.

La debolezza è continuata nella seduta asiatica, con i futures rapidi ad accumulare ulteriori perdite. Un invito di Trump ai Repubblicani al Senato ad alzare l’importo del pacchetto fiscale non ha sortito effetti sul sentiment, anche perché la  risposta è stata apparentemente tiepida, con il capo della maggioranza a dichiarare che più elevato è l’importo del pacchetto, e minore è la probabilità che il  Senato lo voti. Invece i leader Democratici Pelosi e Schumer si erano detti incoraggiati dall’iniziativa di Trump.

La situazione sullo stimolo fiscale al Congresso sembra paradossale. I Democratici non hanno molto interesse ad accordarsi: il risultato pratico del varo di un pacchetto sarebbe che Trump potrebbe appropriarsene a fini elettorali (recapitando magari altri assegni agli Americani col suo nome scritto sopra). Meglio lasciar intendere all’elettorato che se entreranno alla Casa Bianca e avranno la maggioranza al Congresso, vareranno un piano galattico dopo le elezioni. Sono i Repubblicani i più interessati ad accordarsi. Ma i Democratici tireranno la corda al punto che, se accordo  vi sarà, sarà evidente che hanno avuto la meglio. Con Trump che spinge, una soluzione in extremis non è da escludere, ma personalmente credo che il partito dell’asinello giocherà al rialzo, per evitare un accordo e andare alla Presidenziali in pieno fiscal cliff.

La seduta asiatica ha risentito ovviamente del vento freddo USA, con tutti i principali indici in calo, anche se in realtà, Hong Kong a parte, i cali non riflettono interamente la discesa di Wall Street più il drop dei future in notturna (S&P 500 e Nasdaq erano giù di oltre 2 punti a fine seduta asiatica). Questo dimostra una volta di più che la  debolezza è  specifica degli indici USA, anche se ovviamente eventuali ulteriori cali si rifletteranno sull’azionario globale. La risk aversion si è riflessa anche sui cambi, col dollaro in recupero.

Inutile dire che l’azionario europeo ha accusato in avvio, visto che ieri sera aveva chiuso con l’S&P oltre il 2% più in alto. Anche l’Eurostoxx ha ammortizzato un po’ delle perdite dell’S&P, e recuperato qualcosa in mattinata quando queste si sono un po’ ridotte. Al solito, pesante il settore bancario, che non ha beneficiato affatto (almeno al momento) del rilassamento dei limiti al leverage ratio da parte della Bce, forse perchè atteso.

In una mattinata scarica di dati macro, hanno fatto ancora rumore le news sulla Brexit. Johnson ha accettato l’emendamento che sottopone ogni misura contraria al withdrawal agreement ad un voto parlamentare. Questo aumenta la probabilità che il progetto di legge venga approvato alla Camera dei Comuni, anche se difficoltà potrebbero sorgere alla Camera dei Lords, che può rinviare l’approvazione anche per 12 mesi. Da parte EU diversi esponenti hanno dichiarato che l’emendamento non cambia la sostanza e ribadito che le clausole contestate debbono essere stralciate entro fine Settembre.

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