Tutte le strade delle elezioni regionali di settembre mettono sotto i riflettori la Puglia. Sarebbe questa per il centrodestra e per il centrosinistra la Regione chiave, la Regione simbolo della svolta in un senso o in un altro. Per il centrodestra, più esattamente secondo le previsioni ai piani alti leghisti, dove comunque la prudenza regna sovrana, perché “siamo ancora a luglio”, la Puglia, da anni roccaforte di una sinistra “grillizzata” ma ormai orfana dei 5s che andranno invece per conto loro, così come per conto loro andranno i renziani di Italia Viva, sarebbe “La Regione più contendibile”.
La Regione del governatore Michele Emiliano, vasta e simbolica per la sinistra, una sorta di Umbria metaforica, però stavolta moltiplicata, al Sud, dove il centrodestra non vince più da 20 anni. Corsi e ricorsi della recente storia politica vogliono che ci fosse 20 anni fa Raffaele Fitto trionfatore e Fitto c’è ancora oggi, non più di Forza Italia, ma con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, candidato unitario di tutto il centrodestra.
La Puglia non fu una delle Regioni strappate dal centrodestra all’Ulivo in quell’8 a 7 che alle Regionali del 16 aprile di 20 anni fa segnò il punto di svolta per il ritorno un anno dopo di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi. Era già governata da Salvatore Distaso di An, ma tra le bandierine messe dal Cav nel risultato elettorale quella notte la Puglia conquistata dal suo allora giovane pupillo Fitto svettava, eccome. La Puglia anche per il centrosinistra ora è ritenuta il punto nodale. E nonostante le strade separate prese da Matteo Renzi e i Cinque Stelle, alla Puglia in ambienti del Pd è affidata un’ultima speranza.
Confidano in ambienti dem: “Emiliano secondo un sondaggio che abbiamo è sopra di 3 punti”. Un parlamentare Pd però ammette a bassa voce: “Se confermassimo la Puglia, visto che le Marche sembrano in bilico, saremmo a un tre a tre e allora ci sarebbe da cantare vittoria, seppur per un pareggio”. Una voce realista di fronte ai sondaggi dove sta prevalendo il 4 a 2 a favore del centrodestra. E cioè: Veneto, Liguria confermate, più Puglia e Marche al centrodestra, Toscana e Campania che invece resterebbero al centrosinistra. Anche se in pochi scommettono ora sul fatto che questo sarebbe l’apripista per il voto anticipato nei primi mesi del 2021, nell’ultima finestra prima del “semestre bianco” antecedente all’elezione del Capo dello Stato nel 2022, lo scossone per il governo giallo-rosso sarebbe egualmente notevole, sarebbe impossibile non tenerne conto . Un centrosinistra che ormai governerebbe solo 4 Regioni su 20 sarebbe una stridente immagine plastica di una maggioranza di governo ormai netta minoranza nel Paese.
Come ha osservato Daniele Capezzone, secondo la dottrina del costituzionalista Costantino Mortati sarebbe l’immagine reale di un governo che non corrisponde più alla maggioranza del corpo elettorale. Una contraddizione vistosa già ora, ma che in quel caso diventerebbe molto più difficile da gestire. Sarebbe la vera rivincita del centrodestra e di Matteo Salvini, leader della Lega, il partito con maggiori consensi, ancora sbeffeggiato a sinistra per il “Papeete” di quasi un anno fa. Al quale però segui poco dopo lo schiacciante risultato dell’Umbria. Dove la presidente Donatella Tesei (Lega, candidata del centrodestra unito), oggi sul podio, secondo un sondaggio di Antonio Noto per “Il Sole 24 ore”, dei tre governatori più apprezzati d’Italia, dopo i leghisti Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, sconfisse il candidato per il centrosinistra e i Cinque Stelle con il bruciante stacco di oltre il 20 per cento.
L’Umbria è piccola ma altamente simbolica, perché da 60 anni era una roccaforte rossa. La Puglia è vasta. E una sconfitta qui sarebbe una metaforica Umbria moltiplicata al Sud. Foto e abbracci come quelli di Narni non ci saranno. La speranza per la sinistra ora è che se non i leader “almeno gli elettori si siano amalgamati di più”. Rispetto agli abbracci narnesi di neppure un anno fa.