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Berlusconi

Cassazione, la magistratura deviata anti Cav e gli errori di Berlusconi

Che cosa si dice e non si dice sulla scia dell'audio con Berlusconi e giudice Franco della Cassazione.

Sorpresi? No, nessuna sorpresa. Ma l’audio diffuso lunedì sera del giudice Amedeo Franco, relatore in Cassazione nel processo a Berlusconi per frode fiscale sui diritti tv Mediaset, fa venire lo stesso i brividi a chiunque abbia a cuore i principi dello stato di diritto e la democrazia nella nostra Repubblica.

Qui siamo oltre l’ingiustizia, bisogna esserne consapevoli. Siamo nel territorio dell’eversione. La giurisdizione è stata occupata da magistrati militanti di sinistra, che l’hanno deviata, resa uno strumento per colpire e abbattere l’avversario politico. Per deviare il corso della vita democratica del nostro Paese.

La condanna definitiva di Berlusconi, stando alla “confessione” non priva di rimorsi del giudice Franco, era sbagliata e pilotata, decisa “a priori” e “guidata dall’alto”. E cosa c’è di più in alto della Cassazione?

Ma vediamoli alcuni dei passaggi salienti dell’audio.

“Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un mascalzone! Questa è la realtà… a mio parere è stato trattato ingiustamente e ha subito una grave ingiustizia… l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto… In effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla sezione feriale?”

Già, la sezione feriale (la sezione della Cassazione che giudica durante la pausa estiva). Questo è un passaggio decisivo, sul quale occorre soffermarsi. Fu un processo lampo. Pensate, a fronte dei tempi biblici della giustizia italiana per qualunque cittadino, per Berlusconi primo grado nell’estate del 2012 (con deposito delle motivazioni contestuale alla sentenza di condanna, evento più unico che raro). L’appello si concluse nel maggio 2013 e tre mesi dopo, il 1° agosto, arrivò il verdetto definitivo della Cassazione. Senza nemmeno aspettare settembre.

Il giudice naturale sarebbe dovuto essere la terza sezione della Cassazione, competente per i reati tributari. Ma cosa accadde? Secondo discutibili calcoli riportati dal Corriere della Sera il 9 luglio, era imminente la prescrizione per una delle due annualità fiscali alle quali si riferiva l’accusa di frode fiscale. A quel punto, in caso di una conferma della condanna, l’entità della pena avrebbe dovuto essere rideterminata dalla Corte d’appello considerando la parziale prescrizione, allontanando di mesi la sua esecuzione e, dunque, la perdita dei diritti politici di Berlusconi. Nel primo pomeriggio di quello stesso 9 luglio (che coincidenza!), l’accelerazione: l’udienza in Cassazione venne fissata per il 30 luglio anziché per l’autunno, lasciando “esterrefatto” l’avvocato Coppi. Furono i magistrati di Milano ad avvertire la Cassazione (e il Corriere) del rischio prescrizione di una parte delle accuse in un arco temporale stimato tra il primo agosto e la metà di settembre – un conteggio più che controverso – e a mettere sotto pressione la suprema corte? Verosimile.

Ma il rischio prescrizione fu evocato non tanto per accelerare i tempi, quanto per cambiare i giudici: 30 luglio, infatti, significava sezione feriale e non terza sezione. Ora, dalle parole del giudice Franco troviamo una conferma di quanto in molti sospettavamo già all’epoca: si trattò di una mossa per sottrarre Berlusconi al suo giudice naturale e affidarlo alla sezione feriale della Cassazione, presieduta da Antonio Esposito. Evidentemente, la terza sezione specializzata nei reati tributari non offriva sufficienti garanzie di condanna, visto che in un processo praticamente identico, Mediatrade, aveva già assolto l’ex premier, il che lasciava supporre che avrebbe potuto seguire il proprio precedente.

Torniamo alle parole del giudice Franco: “I pregiudizi per forza che ci stavano… si poteva cercare di evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione, come è capitato, perché di peggio non poteva capitare…”

“Sussiste una malafede del presidente del collegio (Esposito, ndr) sicuramente… Questo mi ha deluso profondamente… perché ho trascorso tutta la mia vita in questo ambiente e mi ha fatto schifo… Non mi mettevo a fare il magistrato se questo è il modo… per colpire le persone, gli avversari politici”.

Nella conversazione registrata il giudice Franco chiama in causa anche Ernesto Lupo, allora primo presidente della Cassazione: “Gli dissi mi hanno coinvolto in questa faccenda maledetta, avessi saputo mi sarei dato malato, a questo punto ha cambiato discorso… Berlusconi deve essere condannato a priori… è stata una decisione traumatizzante, ha avuto pressioni (Esposito, ndr) e così via… il presidente della Repubblica lo sa benissimo che è stata una porcheria“.

Bisogna ricordare anche il contesto politico. Siamo nell’estate del 2013 e Berlusconi ha appena compiuto l’ennesimo miracolo elettorale e commesso il suo secondo irrimediabile errore politico. Al termine di una campagna elettorale entusiasmante, forse l’ultima, chiusa in trasmissione da Santoro spolverando la sedia dove si era seduto Travaglio, il Cavaliere aveva negato la vittoria piena alla coalizione guidata da Bersani. Avrebbe persino potuto vincere, non fosse stato per Monti che invece di puntare al Colle s’era messo in testa di presentarsi con una sua lista e la cagnolina Empy. Fatto sta che il centrodestra chiude a pochi decimali dal centrosinistra: in virtù del porcellum (poi dichiarato incostituzionale) con nemmeno il 30 per cento (25,4 il Pd) Bersani conquista la maggioranza alla Camera, ma al Senato è stallo. Il segretario del Pd, come ricorderete, tenta di sedurre i 5 Stelle, venendo umiliato in streaming. È il “senso di responsabilità” di Berlusconi a sbloccare la situazione dopo settimane di impasse. Rielezione di Napolitano e via libera al governo Letta con ministri di Forza Italia.

Ed ecco l’errore politico. Il Cav ha creduto possibile aprire con il Pd una stagione di pacificazione e legittimazione, di fronte all’emergere del comune nemico grillino. Una pacificazione che, come gli deve aver prospettato qualche consigliere non proprio disinteressato, avrebbe potuto placare l’iniziativa giudiziaria nei suoi confronti, in particolare garantirgli il buon esito del processo Mediaset in appello o eventualmente in Cassazione. Un rapido ritorno al voto, invece, sarebbe stato nell’interesse sia del centrodestra che del Movimento 5 Stelle, il primo potendo chiamare il bluff di montiani e finiani, il secondo erodere ulteriormente consensi al centrosinistra.

Sappiamo com’è andata a finire. Il Cav si era illuso che facendo il bravo, il “responsabile”, lo avrebbero lasciato in pace, persino legittimato. Invece, altro che pacificazione e assoluzione, come gli avevano assicurato i suoi consiglieri. Condanna definitiva nel processo Mediaset e decadenza dal Senato sulla base della Legge Severino, applicata retroattivamente, con il voto dei suoi “alleati” di governo, i quali nel frattempo si erano assicurati la sopravvivenza della legislatura con i voti del “traditore” Alfano. Capolavoro Napolitano e Pd: col minimo dei voti (25 per cento), si erano ripresi tutto – Quirinale e Palazzo Chigi – e avevano cacciato Berlusconi dal Parlamento.

È in questo contesto che matura la sua condanna definitiva in Cassazione.

Una sentenza “guidata dall’alto”, secondo il giudice Amedeo Franco. Ora, resta da capire da chi. Dal Csm, della cui politicizzazione abbiamo avuto prova negli ultimi mesi grazie al caso Palamara? O ancora più in alto, fino al Quirinale? In effetti, la prima nota dell’allora presidente Napolitano a commento della sentenza della Cassazione suona quasi liberatoria.

“(…) Ritengo ed auspico che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia, già efficacemente prospettati nella relazione del gruppo di lavoro da me istituito il 30 marzo scorso. Per uscire dalla crisi in cui si trova e per darsi una nuova prospettiva di sviluppo, il Paese ha bisogno di ritrovare serenità e coesione su temi istituzionali di cruciale importanza che lo hanno visto per troppi anni aspramente diviso e impotente a riformarsi”.
Insomma, tolto di mezzo Berlusconi, il Paese può “ritrovare serenità”, a cominciare dalla giustizia…

Anziché opporsi con tutte le forze a chi l’aveva fregato per ben due volte, prima nel 2011 poi nel 2013, da quel momento Berlusconi, sempre attento alla sorte delle sue aziende, e i suoi ultimi giapponesi in Forza Italia sembrano preda della sindrome di Stoccolma. In calo verticale di consensi, continuano a pietire la considerazione dei loro carnefici e ad offrire stampelle ai governi di centrosinistra.

Ieri, sull’onda dell’indignazione per l’audio del giudice Franco, Forza Italia ha avuto uno scatto d’orgoglio e chiesto una commissione parlamentare di inchiesta sull’uso politico della giustizia. Ingenuità o ammuina? Premesso infatti che storicamente le commissioni di inchiesta non hanno mai saputo utilizzare i poteri di indagine giudiziaria che la Costituzione (art. 82) gli attribuisce, limitandosi spesso ad una raccolta di materiali esistenti e ad un’opera di divulgazione di tutte le tesi, oggi la commissione potrebbe essere istituita solo con i voti della maggioranza rosso-gialla, che ne stabilirebbe ambiti e limiti, e verrebbe guidata dai parlamentari delle stesse forze di sinistra che sono più compromesse nell’uso politico della giustizia. Cui prodest?

Lo confessiamo, siamo pessimisti. Molti vedono in quello che sta uscendo dal caso Palamara, e nelle rivelazioni dell’audio del giudice Franco, la spallata finale al sistema di potere che si avvale della potenza di fuoco della “magistratura deviata” di sinistra. Si illudono. È, semmai, la dimostrazione della protervia di un sistema che, certo, è ferito, non gode della simpatia degli italiani, ma che può persino permettersi di esporre al pubblico ludibrio le sue miserie e continuare a colpire gli avversari di oggi. Impossibile far venir giù tutto, se non si prende il Quirinale…

(Articolo pubblicato su Atlantico Quotidiano) 

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