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Giorgetti

Che cosa (non) si è deciso al vertice del centrodestra sul Quirinale

Il vertice del centrodestra sul Quirinale visto dal notista politico Francesco Damato

 

Dalla Villa Grande, con tutte le maiuscole volute dal proprietario, è uscito un piccolo e paradossale compromesso sulla candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale. Finalmente ufficializzata dal centrodestra, come se Matteo Salvini e Giorgia Meloni fossero stanchi di essere sospettati di non volerla, o di non volerla con la necessaria convinzione, essa è stata frenata dallo stesso Berlusconi con una riserva che conferma da sola i perduranti sospetti del Cavaliere. Che deve continuare a fare i conti col suo stesso schieramento, e non solo con gli avversari politici che hanno replicato alla sua candidatura pur frenata definendola “irricevibile”.

IL QUIRINALE FRA STORIA E CRONACA

Questa edizione della corsa al Quirinale continua ad essere la più anomala di tutte, a parte quella del 1992, irripetibile -spero-per la drammaticità della strage di Capaci, che interruppe la ricerca di una soluzione ordinaria della successione a Francesco Cossiga e restrinse la partita ad una scelta di emergenza istituzionale, più emotiva che politica, fra i presidenti delle Camere. La spuntò il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, preferito peraltro più dai socialisti e dai comunisti, per non parlare di Marco Pannella, che dal proprio partito ancora scioccato dal naufragio della candidatura del suo segretario Arnaldo Forlani. I socialisti preferirono il presidente della Camera per la fiducia personale a torto riposta in lui da Bettino Craxi in persona, che se ne sarebbe poi pentito scrivendogli lettere senza risposta contro la demolizione giudiziaria della cosiddetta prima Repubblica e sua personale. I comunisti, o post-comunisti come già volevano essere chiamati dopo la caduta del muro di Berlino, lo preferirono per il posto che l’elezione di Scalfaro liberava a Montecitorio, a vantaggio del loro Giorgio Napolitano.

COME SI MUOVE IL CENTRODESTRA SUL QUIRINALE

Le possibilità che Berlusconi ha di essere eletto anche dopo la ufficializzazione della sua pur frenata candidatura non dipendono dalla capacità negoziale del centrodestra ora a trazione salviniana per ridurre l’area pubblica ed estesa del no -dal Pd ai 5 Stelle- ma dalle capacità personali dello stesso Berlusconi di conquistare consensi nell’area indefinita degli amici delusi o perduti, degli indecisi e dei dissidenti dei partiti e gruppi dichiaratamente contrari, nel marasma che è diventato il Parlamento dei 250 e più, fra deputati e senatori, che hanno cambiato casacca, bandiera e quant’altro nei quasi quattro anni trascorsi dalle elezioni del 2018. Un Parlamento, peraltro, reso ancora più precario di quanto non lo sia per la prossimità della scadenza a causa di un radicale taglio di seggi che lo ha trasformato in una tonnara. Dove deputati e senatori destinati a non tornare vogliono votare solo per un presidente che lasci le Camere durare sino all’ultimo secondo del loro mandato quinquennale.

LE PROSSIME MOSSE DEL CENTRODESTRA SUL QUIRINALE

Ne ha quindi di lavoro da svolgere sotto traccia Berlusconi nella settimana di tempo che i leader e leaderini del centrodestra si sono dati per ritrovarsi e cercare di fare i conti meglio o meno approssimativamente di ieri: una settimana nella quale quello che è diventato il maggiore concorrente del Cavaliere, cioè il presidente del Consiglio Mario Draghi, non se ne starà sicuramente con le mani in mano, convinto com’è -e giustamente- di avere ancora molte carte a suo favore, salvo ripensamenti di Sergio Mattarella. Che però proprio ieri ha voluto accomiatarsi dai quirinalisti che lo hanno seguito nei quasi sette anni trascorsi dal suo insediamento, quasi per ribadire la indisponibilità ad una conferma su cui invece sono ancora in tanti a sperare, se non a scommettere. “Sarebbe il massimo”, ha detto di recente alla televisione, non in privato a qualcuno, il segretario del Pd Enrico Letta.

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