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Tunisia

Che cosa non dicono i 5 Stelle ispirati da Travaglio

Travagli e grilli politici del Movimento 5 Stelle presieduto da Conte che non ha votato la fiducia al governo Draghi: cosa combinano i ministri pentastellati? Il commento di Polillo

 

Non si può certo dire che Marco Travaglio abbia perso tempo. Mario Draghi era uscito da poco dal Quirinale, per presentare le sue dimissioni al Capo dello Stato, e l’editoriale su Il Fatto quotidiano era già confezionato. Troppa la voglia di brindare contro colui che aveva costretto alla resa Giuseppe Conte, considerato da quelli del giornale di Via Sant’Erasmo, più che un avvocato, una sorta di vate. Che una spregevole congiura di palazzo aveva costretto alle dimissioni. Il Conticidio, appunto, come lo stesso Travaglio aveva teorizzato in un suo pamphlet, il cui editing ricordava i vecchi gialli Mondadori.

Sobria, come al solito verrebbe da dire, la sua analisi. “La crisi l’ha cercata lui”: nel senso del presidente del Consiglio. “Stracciando le bandiere M5S, avallando la scissione dimatiana, sparlando di Conte a Grillo”. Delitto di lesa maestà. “Rifiutando di stralciare dal dl Aiuti inceneritore e norme contro RdC e super bonus e imponendo l’ennesima fiducia per addossare la colpa (anzi il merito) ai 5 stelle”.

Grande guazzabuglio: la proposta del termovalorizzatore era del sindaco di Roma, Gualtieri, nonché ex ministro dell’Economia durante il Conte II. RdC e bonus erano stati oggetto di una critica feroce da parte di chiunque avesse un minimo di sale in zucca, se non altro per il solo fatto di essere un veicolo di corruzione e di ruberie.

“Infine raggelando Mattarella col gran rifiuto di ieri (allora la “formula politica” c’era eccome)”: dove può portare l’odio viscerale! Anche a giustificare il comportamento di un ministro come Stefano Patuanelli, nonché capo delegazione M5S, che vota la sfiducia nei confronti di se stesso, dopo aver avallato, in consiglio del ministri, tutte le scelte programmatiche del dl Aiuti. Salvo qualche blanda astensione.

In altri momenti sarebbe stato opportuno chiamare la neuro e sottoporre protagonisti e suggeritori almeno ai controlli anti droga. Non essendo questo possibile conviene, allora, interrogarsi sul retroterra politico – culturale (si fa per dire) di quelle posizioni. Per Travaglio & Co. la democrazia si identifica con il follower. Seguire il gregge. Non un’élite o una classe dirigente, costretta a fare i conti con i dati di realtà, ma, come dicono i 5 stelle, semplici “portavoce” degli attivisti. Teoria enunciata e morta nello spazio di qualche mese, come mostrato dalla “resistibile ascesa” di Mister Conte.

Dall’altra parte absolute beginners: personaggi disturbati, nell’esercizio delle rispettive funzioni. Non si dimentichi che l’articolo 2, comma 2, della legge 400 del 1988 stabilisce testualmente: “Il Consiglio dei Ministri esprime l’assenso alla iniziativa del Presidente del Consiglio dei Ministri di porre la questione di fiducia dinanzi alle Camere”.

Che facevano in quella circostanza i vari Patuanelli, per non parlare di Federico D’Incá, ministro per i Rapporti con il Parlamento addirittura dal 5 settembre 2019, delegato a richiedere formalmente il ricorso alla fiducia? Nel corso della seduta, in cui tutto fu deciso, dormivano? Erano andati a prendere un caffè? O più semplicemente non avevano capito? Salvo poi tentare di rimediare, proponendo dopo la delibera formale del Consiglio dei ministri, in merito all’opposizione della questione di fiducia, di far finta di come se niente fosse accaduto.

Del tutto indifendibili: da qualsiasi parte la si voglia raggirare. I 5 stelle avevano avuto tutto il tempo per arrestare quella deriva, senza dover aspettare il voto della Camera e del Senato. Non hanno fatto alcunché. Mistero nel mistero, considerato quanto sostiene Luigi Di Maio, secondo il quale la decisione (sollecitata da chi?) era programmata da tempo. Ancora una volta Travaglio se la prende con gli anglo-americani, responsabili, a suo dire, di aver “inchiodato” Mario Draghi.

L’argomento tirato in ballo è quanto mai scivoloso. La cattiva gestione della vicenda parlamentare è stata solo frutto della farina del sacco di Conte o c’è qualcos’altro? Non dimentichiamo che tutto era iniziato con il negare l’ulteriore invio di armi a favore dell’Ucraina. Una discussione interminabile della risoluzione parlamentare da presentare che, alla fine, non aveva prodotto effetto alcuno, ai fini dei suoi desiderati. Quindi il ribadire lo stop nella famosa lettera dei nove punti. No armi ai combattenti, ma opere di bene per famiglie ed imprese italiane. L’Italietta pizza e mandolino.

Altro che pressioni anglo-americane. Comunque una discussione alla luce del sole, con tanti distinguo e differenze. Dall’altra parte, invece, sul fronte oscuro dei rapporti con il rinato “impero del male”, tante connivenze sotterranee. Tante cose inespresse o dette a mezza bocca. Tante inquietanti collusioni. “La seconda cosa che mi ha colpito – ha confessato Luigi Zanda, nella sua intervista a La Repubblica – è stato l’intervento molto duro della capogruppo M5S in Senato, Mariolina Castellone. Ha fatto capire che lo strappo non è stato solo sul termovalorizzatore di Roma, ma per ragioni di fondo”. Sarebbe interessante conoscere quali.

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