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Laschet Scholz

Che cosa (non) cambia in Germania dopo il voto in Sassonia-Anhalt

Il voto di neppure due milioni di tedeschi – tanti sono gli elettori della Sassonia-Anhalt – ha un valore più simbolico e psicologico che reale. Ecco perché. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti

 

Per la nuova Cdu di Armin Laschet la fase calda verso le elezioni federali del 26 settembre non poteva iniziare in modo migliore. Con la schiacciante vittoria nel piccolo Land della Sassonia-Anhalt (primo partito, 37%, + 7 punti rispetto a 5 anni fa), il dopo-Merkel fa meno paura e la nuova leadership del partito acquista fiducia e consapevolezza.

Il voto di neppure due milioni di tedeschi – tanti sono gli elettori della Sassonia-Anhalt – ha un valore più simbolico e psicologico che reale. Molte sono le peculiarità regionali e le condizioni non ribaltabili automaticamente su scala nazionale. A cominciare dal fatto che una buona parte di questo successo la Cdu lo deve al carisma del suo candidato locale, il presidente uscente Reiner Haseloff, capace di monetizzare in voti il discreto lavoro di 5 anni di governo e la tranquilla gestione della crisi pandemica: il vecchio, caro “bonus del cancelliere” (in questo caso del presidente) su cui la Cdu non potrà contare a settembre nella prima, storica elezione in cui la Cdu non ripresenterà il proprio cancelliere uscente.

Per proseguire con la strutturale debolezza dei Verdi, che a livello federale vorrebbero contendere il primo posto ai cristiano-democratici, ma che in Sassonia-Anhalt, così come in generale in tutti i Länder orientali, non hanno mai avuto terreno facile. Di fatto giocavano fuoricasa, ma i Verdi non possono ugualmente nascondere la delusione per l’esito del voto. Hanno racimolato qualche decimale in più rispetto al 2016, ma sono arrivati all’ultimo posto, scavalcati anche dai liberali (rientrati nel parlamentino dopo una legislatura di astinenza). Con tutte le attenuanti del caso, un partito che ambisce a primeggiare nel voto nazionale non può permettersi percentuali a una cifra in nessuna regione.

In un’elezione dominata mediaticamente dallo spauracchio dell’estrema destra, i nazionalisti di Afd mantengono un consenso rilevante del 21%, ma falliscono l’assalto al cielo. Il loro principale concorrente, la conservatrice Cdu, li surclassa di 14 punti, un’enormità. I sondaggi avevano a lungo raccontato la realtà virtuale di un testa a testa, salvo correggere il tiro solo negli ultimi giorni a favore della Cdu. Nessuno può sottovalutare una forza antagonista che nelle regioni orientali raccoglie oltre un quinto dei consensi, ma senza la retorica anti-immigrati Afd non sembra in grado di sfondare al centro, soprattutto nei più popolosi e ricchi Länder dell’Ovest, e il confinamento nell’area più estrema della destra la condanna a un ruolo di protesta e di fatto all’insignificanza politica. Un altro segnale di appannamento dell’appeal del populismo, almeno in questa fase.

Tornando alle prospettive per le elezioni di settembre, il voto di Magdeburgo dimostra che Armin Laschet è tutt’altro che l’uomo grigio e spaesato dipinto dai media negli ultimi mesi. Molti sottovalutano la sua determinazione e il suo pragmatismo. La prima lo ha convinto a insistere nel braccio di ferro interno con Markus Söder, il concorrente bavarese vincente nei sondaggi che molti analisti giudicavano un candidato migliore. Il secondo lo ha spinto a unire un po’ tutte le anime del partito e a dosarle nel migliore dei modi: da un lato ha dichiarato una netta distanza dall’estrema destra, consolidando il profilo centrista della Cdu e dimostrando che Afd si batte non inseguendola sul suo terreno programmatico; dall’altro si è coperto sul versante liberal-conservatore imbarcando proprio colui che aveva sconfitto al congresso, Friedrich Merz. Segno anche che il partito si sta ricompattando e la sua robusta macchina elettorale potrà fare la differenza in campagna elettorale.

Le prime analisi del voto indicano tuttavia un campanello di allarme per Laschet. La Cdu ha prevalso nella fascia di elettori più anziani e la specifica composizione demografica della Sassonia-Anhalt (rafforzata dall’intensa emigrazione giovanile negli anni post-riunificazione) ha premiato questo squilibrio. Ma tra i giovani i cristiano-democratici perdono appeal, a favore di Verdi e liberali.

Gli ecologisti dovranno digerire la delusione di Magdeburgo e meditare sui rischi di affidarsi troppo all’onda mediatica che li ha portati qualche settimana fa in cima ai sondaggi. Baerbock deve temere il cosiddetto “effetto Schulz”, la sindrome dell’ex presidente del parlamento europeo che nelle precedenti elezioni visse qualche settimana da protagonista assoluto (i sondaggi primaverili lo vedevano davanti a Merkel) per poi sprofondare quando la campagna elettorale entrò nel vivo. I temi ecologici resteranno centrali nei prossimi mesi, ma soluzioni ideologiche possono spaventare potenziali nuovi elettori. E in più i Verdi stanno scoprendo un’inattesa concorrenza dei liberali nell’elettorato urbano e giovane.

Ultima considerazione riguarda il contesto economico. La Germania si sta gettando alle spalle la crisi pandemica e la ripresa economica si annuncia robusta. Tutti gli indicatori di fiducia per i prossimi mesi sono positivi, non solo per l’industria ma anche per i settori drammaticamente colpiti dai lockdown come commercio e gastronomia. Qualche analista si sbilancia e prevede una fase di euforia economica e sociale dopo i lunghi mesi della depressione, simile a quella che negli anni Venti del secolo scorso seguì alla prima guerra mondiale e all’influenza spagnola. E nessuno può prevedere che influenza potrà avere un clima di questo genere sulle intenzioni di voto.

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