skip to Main Content

Salvini

Che cosa metterei nella calza della Befana per Salvini. I Graffi di Damato

"Se fossi la Befana, lascerei a Salvini una calza piena di...". I Graffi di Francesco Damato

Non conosco Matteo Salvini. E non mi è mai capitato di incontrarlo neppure occasionalmente, o di unirmi ai cortei improvvisati dei miei colleghi giornalisti che lo inseguono negli attraversamenti dei corridoi parlamentari per strappargli una dichiarazione, una battuta e magari anche una stretta di mano, utile a quanti lavorano in Rai e dintorni anche a ricollocarsi in quella infinita girandola lottizzatoria denunciata con rigore quasi scientifico a suo tempo da Alberto Ronchey. E in cui – lo confesso – mi trovai coinvolto anch’io una volta, con qualche polemichetta sul manifesto e altri quotidiani, su iniziativa del mio amico ed estimatore Massimo Pini, consigliere d’amministrazione della Rai per conto dei socialisti ai tempi di Bettino Craxi, contro il cui parere – confesso anche questo, per dirvi quanto curiosa possa a volte essere un’amicizia vera – accettai una collaborazione che cercai di onorare al meglio. Fu mia, fra l’altro, l’ultima intervista televisiva al generale Carlo Alberto dalla Chiesa, poche settimane prima che venisse ammazzato da Cosa Nostra, in cui l’allora prefetto di Palermo incitò la politica ad applicare nella lotta alla mafia il ricorso ai pentiti sperimentato efficacemente da lui stesso nella lotta al terrorismo.

Non conosco Salvini, dicevo. E ho sinora resistito alla tentazione di votarlo che mi fanno venire certi modi di combatterlo, mettendogli addosso gli stivaloni come si faceva negli anni Ottanta contro Craxi, o scommettendo sulla magistratura per liberarsene, sempre secondo il modello Craxi. Ma se fossi la Befana gli lascerei sul davanzale, o appesa alla porta di casa, o di dov’altro si sveglierà domani mattina, una calza piena di rosari, crocifissi e medagliette di ogni ordine e grado della Madonna con un biglietto di accompagnamento per diffidarlo dall’usarli in pubblico, neppure per scherzo. E ciò non foss’altro per togliere al suo ormai odiato e odiatore Giuseppe Conte uno dei pochi argomenti buoni, se non l’unico, che il presidente del Consiglio ha adoperato contro di lui al Senato, nel “processo” del 20 agosto scorso, e cerca di rinverdire ogni volta che l’ex ministro dell’Interno gliene offre l’occasione.

Iddio, il Signore e la Madonna secondo me hanno troppo da fare, osservando questo nostro tormentatissimo mondo, per occuparsi anche del leader leghista e dargli una mano nella scalata a Palazzo Chigi. Ma, per sua fortuna, neppure per dare una mano ai suoi nemici, come ha dimostrato la figuraccia rimediata dai frati francescani d’Assisi contrastandone le recente campagna elettorale non vinta, ma stravinta in Umbria.

Non si può francamente sfidare la pazienza e la distrazione di “Dio e del cuore immacolato di Maria”, da lui invocati la sera di San Silvestro per riproporsi alla “guida del Paese” ed esultare dopo qualche giorno al modo scelto dagli americani per liberarsi in territorio iracheno del generale iraniano Soleimani e dei suoi accompagnatori. Che non saranno stati, per carità, degli stinchi di Santi ma della cui morte, in quel modo, non possono essere compiaciuti “Dio -ripeto- e il cuore immacolato di Maria”, anche se la storia del Cristianesimo è fatta anche di crociate e altre guerre, che sono sempre tali, funeste anche a dispetto degli ideali invocati per condurle.

No, non sono una mammoletta sciocca. Mi ritengo solo un po’ più avveduto di Salvini, e forse meno opportunista della sua alleata Giorgia Meloni, che si è premurata a prenderne le distanze. Anche se il leader leghista lascia allegramente chiamare “Bestia” l’equipe dei suoi consiglieri o com’altro vanno chiamati quelli che l’informano 24 ore su 24 e gli suggeriscono le cose da dire e da fare, la politica non ha bisogno di diventare bestiale per essere credibile ed efficace. Debbo ancora riconoscermi – e comincio a preoccuparmene – in una felice “cattiveria” di Marco Travaglio sul Fatto, che ha appena immaginato Salvini lanciare “una bomba carta dal balcone” finendo per incendiare anche la sua auto come bilancio del 2019. E’ stata una “cattiveria” felice come quella che ha chiesto cosa mettano in Vaticano nell’incenso che adopera il Papa nelle messe per renderlo quasi manesco com le infedeli che lo strattonano in piazza.

Peccato però che alle prese col Vaticano Travaglio non si sia fermato qui ed abbia il giorno dopo esagerato attribuendo all’impazienza di un altro Papa, nel frattempo diventato Santo Giovanni II, l’impiccagione a Londra del banchiere Roberto Calvi.

Back To Top