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Che cosa insegnano i casi di Mario Calabresi, Raffaele Cantone e Paolo Savona

Le novità editoriali, politiche e istituzionali rappresentate da Calabresi, Cantone e Savona commentate da Francesco Damato

Tra editoria e politica quella appena trascorsa è stata un po’ una giornata da giudizio relativamente universale. Si sono avuti tre casi assai diversi di licenziamento, o commiato, accomunati dalla conferma di un vecchio adagio popolare secondo il quale non si può stare in paradiso a dispetto dei santi.

I casi sono quelli, in ordine rigorosamente alfabetico, per non fare torto a nessuno, del giovane Mario Calabresi, allontanato dalla direzione di Repubblica dopo soli tre anni, e due direzioni durate vent’anni l’una; del meno giovane ma pur sempre giovane Raffaele Cantone, convinto con le buone o con le cattive, secondo i gusti, a prenotare il ritorno al servizio giudiziario lasciando la guida dell’Autorità anticorruzione; dell’anziano ma sempre in forma Paolo Savona, spinto alla presidenza della Consob o rimosso, come preferite, dal governo dove avrebbe dovuto entrare come superministro dell’Economia, ma venne dirottato al Ministero senza portafogli, come si dice in gergo tecnico, degli affari europei.

Della rimozione di Calabresi, 48 anni, dalla direzione del giornale e della nomina di Carlo Verdelli a successore, annunciate peraltro ai lettori delle copie cartacee all’interno, senza l’evidenza della prima pagina che di solito si assegna a questo tipo di notizie, si è cercato di attribuire la causa alla crisi della Repubblica di carta nelle edicole. Che invece l’ormai ex direttore, quasi per difendersene, si è vantato di avere ridotto dal 14 per cento delle perdite evidentemente ereditato al 7 per cento.

In realtà, peraltro nel contesto di una caduta generalizzata dei giornali, e nel caso di Repubblica nel contesto anche di uno sfaldamento, sbandamento e quant’altro del suo pubblico originario per i mutamenti intervenuti nel tradizionale elettorato di sinistra, o centrosinistra, Calabresi si portava addosso da un po’ di tempo la diffidenza o la delusione pubblicamente espressa, o non smentita, dell’ex ma pur sempre influente presidente della società editrice Carlo De Benedetti, padre del presidente attuale.

Non credo, francamente, di essere troppo malizioso e temerario a sospettare che un grande peso in questa delusione, a dir poco, ha avuto a suo tempo una certa freddezza o distanza mostrata dal giornale diretto da Calabresi quando scoppiarono le polemiche sui 600 milioni di euro di profitto realizzato in poco tempo dall’editore di Repubblica ordinando al suo operatore di borsa Gianluca Bolengo di investire 5 milioni nelle banche popolari che stavano per essere riformate con un decreto legge dal governo di Matteo Renzi. Dei tempi ormai vicinissimi di quella riforma, appunto, De Benedetti aveva appreso dallo stesso presidente del Consiglio al termine di una colazione, di primo mattino, a Palazzo Chigi.

La vicenda procurò una istruttoria della Consob e poi un’inchiesta giudiziaria tuttora aperta, riguardante formalmente solo l’operatore finanziario Bolengo e contrassegnata da almeno due richieste di archiviazione avanzate dalla Procura della Repubblica di Roma, ma confutate dal giudice delle indagini preliminari Gaspare Sturzo.

Vi pare -ha sempre e praticamente chiesto De Benedetti a critici e avversari- che se avessi voluto davvero fare una speculazione sulle presunte anticipazioni ottenute dall’allora amico e presidente del Consiglio, mi sarei limitato a ordinare un investimento nelle banche popolari nell’ordine di soli 5 milioni di euro, contro i 50 milioni abituali di questo tipo di miei interventi in Borsa? La Procura di Roma, che lo ascoltò nelle indagini, gli ha creduto. Gli avversari no. E a costoro forse De Benedetti si aspettava che il “suo” giornale rispondesse per le rime, e non col distacco imbarazzato che gli deve essere forse apparso quello di chi lo dirigeva.

Passiamo al magistrato Raffaele Cantone, 56 anni, fortemente sostenuto nel 2014 da Renzi al vertice dell’Autorità anticorruzione e altrettanto fortemente valorizzato nella sua attività da giornali e giornalisti di ogni tendenza, salvo pochi mugugni, sino a quando non è arrivato nello scorso anno il governo gialloverde del cosiddetto cambiamento. Dove qualcuno non ha gradito, senza neppure nasconderlo, il lavoro o forse ancor di più il metodo di lavoro di Cantone, dai cui uffici sono passate pratiche di appalti e di nomine di ogni tipo, nazionale o locale. Egli si è sentito e dichiarato ad un certo punto “sopportato”, più che supportato, cioè stimato e sostenuto. E, magari precedendo qualche intervento di quelli che non sono certo mancati a Palazzo Chigi e dintorni in materia di cosiddetto spoils system, ha colto l’occasione offertagli dalla gara in Consiglio Superiore della Magistratura per la copertura di Procure della Repubblica vacanti per parteciparvi. E tornare così al suo antico e generalmente apprezzato mestiere.

Eccoci infine a Paolo Savona, 82 anni, di cui ho già scritto molto accennando al dirottamento dal superministero dell’Economia, esplicitamente negatogli dal presidente della Repubblica, al ministero senza portafogli -ripeto- degli affari europei. Ebbene, lasciatemi aggiungere solo questa osservazione. Il professore, già ministro di Carlo Azeglio Ciampi e tante altre cose, a contatto quotidiano nel governo gialloverde con i suoi colleghi, considerando l’esperienza e la competenza economica e finanziaria che egli ha, deve averne viste e sentite tante, e tanto inutilmente cercato di correggere o evitare cose contrarie alle sue abitudini e visioni, che non gli è parso vero evitare gesti clamorosi di rottura saltando sul convoglio della presidenza della Consob offertogli dal presidente del Consiglio, forse anche dal capo dello Stato o comunque dalle circostanze. E ha preferito, alla sua età, saltarvi sopra con spirito giovanile, anche a costo di sentirsi dire e contestare tutte le presunte o vere ragioni di “incompatibilità” contestategli prevalentemente dal Pd, e sotto sotto condivise forse anche da qualche grillino. Sarà probabilmente una via crucis fuori stagione quella che aspetta Savona nelle procedure parlamentari e burocratiche della nomina.

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