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Che cosa ha detto (e non ha detto) Enrico Letta

Posizioni e idee di Enrico Letta, nuovo segretario del Pd, analizzate da Gianfranco Polillo

 

C’è voluta tutta l’ironia di Paolo Mieli per avanzare garbatamente più di un dubbio sull’operazione Enrico Letta, segretario del Pd. Ma ci voleva proprio l’unanimità?, si è chiesto durante la trasmissione di Fabio Fazio a “Che tempo che fa”. Erano stati unanimi nel cacciarlo via – aveva chiosato – ed ora sono unanimi nel riacclamarlo segretario del partito. Quasi una malattia – si potrebbe aggiungere – di questi tempi incerti, parafrasando detti ben più celebri, che sono scritti nella storia di quella formazione politica. Girata la questione al diretto interessato, intervistato subito dopo, Enrico Letta si è limitato a ribadire: ho detto come la pensavo e su questo mio intervento ho chiesto il voto dell’Assemblea. Da questo momento in poi, quindi, questa sarà la bibbia del partito.

Ed allora bisogna esaminare con attenzione quelle parole. Nel loro significato più immediato, ma soprattutto cercando di fare luce sul retroterra culturale, ancor prima che politico, da cui traggono aspirazione. Perché un dato balza subito agli occhi. Si è trattata di una svolta. Di cui, al momento, è difficile valutare la portata, ma è una scelta che non potrà non avere conseguenze sulla futura evoluzione del partito e, quindi, sulle stesse sorti dell’Italia. Per capirla, bisogna leggere i segnali. Soprattutto contemplare l’album di famiglia che, Enrico Letta ha mostrato con un malcelato orgoglio. A partire da Papa Francesco, citato più volte nel suo intervento. Quindi Jacques Delors, Romano Prodi, Don Mazzolari, Don Milani, Nino Andreatta.

Il denominatore comune tra questi diversi personaggi è evidente. Sono tutti cattolici. Lo stesso Jacques Delors benché dirigente socialista, fin dai tempi Di Mitterrand, non aveva mai fatto mistero della sua fede, che, giustamente dal suo punto di vista, non esitava a mostrare. Non è quindi un caso se lo stesso Letta, rinunciando a tutti i suoi numerosi incarichi, abbia voluto mantenere, invece, la presidenza della fondazione che si rifà al nome di questo illustre personaggio della storia europea. Essendo stato uno dei precursori della moderna Unione.

Ovviamente: nessun problema. Il cattolicesimo democratico è stato una componente importante della storia d’Italia. Ed essere cattolici non impediva di essere, al tempo stesso, socialisti o comunisti. Personaggi che con le loro caratteristiche – da Gennaro Acquaviva a Franco Rodano – per quanto diverse hanno svolto la loro azione politica all’interno di formazioni laiche, com’erano, appunto, tanto il PSI, quanto il PCI. Ma erano, va subito aggiunto, parte. Il loro pensiero e la loro azione, in altre parole, si innestava in un orizzonte più ampio, che andava oltre i limiti del partito cattolico: rappresentato, a tutti gli effetti, dalla DC. Con tutte le sue componenti: di destra, di centro e di sinistra.

Con Enrico Letta, invece, è l’intera linea del PD che cambia. Non tanto nei suoi presupposti politici – di questo si vedrà – ma in quelli culturali. E questo, come si diceva in precedenza, già si è visto. Ed allora siamo giunti alla fine di quel lungo ciclo storico, iniziato nel 1892, con la nascita del Partito socialista? Cui seguì il trauma del 1921, che portò alla scissione ed alla formazione del PCd’I? Interrogativo che resta sullo sfondo, ma che, ancor meno, giustifica l’unanimismo. Nessun dirigente che si sia alzato per difendere una tradizione così antica. Che abbia espresso un dubbio. Lanciato un avvertimento. La dimostrazione che tutto si era già consumato. E che di vivo, se non vitale, rimaneva solo il cattolicesimo di sinistra.

Nemesi della storia. Negli anni che hanno accompagnato la caduta del muro di Berlino, generazioni di dirigenti comunisti e post comunisti, hanno visto nel socialismo il nemico da battere. Non c’era solo la crisi del socialismo reale: questa la giustificazione. Quella malattia si estendeva alla socialdemocrazia europea: considerata incapace nel difendere il sogno di una reale alternativa. Ed ecco allora rivolgere altrove il pensiero e le speranze. L’America dei Kennedy, nella trasposizione onirica. Dimentichi che in quella presidenza c’era stata anche la Baia dei porci: il tentativo di invadere Cuba, per abbattere Fidel e la sua rivoluzione. Quindi la scelta del nome (PCI – PDS – DS – PD) in quella presenza quasi ossessiva della parola “democratico”, proprio per non essere costretti a pronunciare il termine “socialista”.

Nomina sunt consequentia rerum: dicevano gli antichi. Vale in positivo, ma anche in negativo. Ci si può, allora, meravigliare se, alla fine, saranno i cattolici di sinistra a conquistare interamente quel fortino sguarnito, con i pochi militanti rimasti a difesa. Senza più una loro identità. Pronti ad accogliere un papa straniero, sperando nella sua azione salvifica? Nessuna obiezione da parte nostra. Era stato Palmiro Togliatti a ripetere continuamente: “chi ha più filo tesserà”. La storia, almeno fino ad oggi, domani si vedrà, ha dato il suo responso. Resta solo da vedere se tutto ciò avrà una sua intima coerenza.

Enrico Letta, nell’abbozzare il suo programma, ha più volte insistito sull’idea di un’Italia europeista e globale. Saremo uno dei motori dell’Europa – ha detto con enfasi – per trasformarne l’anima. Ma come si collocherà il partito nelle grandi famiglie europee? La rappresentanza dei cattolici a Bruxelles e Strasburgo è nel Partito popolare. Il PD si colloca invece nel PSE: Partito socialista europeo. Ne fanno parte, come membri, più di 30 formazioni politiche. Ebbene: solo per l’Italia ricorre il nome di Partito democratico. In tutti gli altri casi la denominazione è: partito socialista, socialdemocratico o laburista. Semplice nominalismo? Oppure una nuova anomalia? Rafforzerà o indebolirà la posizione negoziale dell’Italia, sempre che si abbia il coraggio da far valere le proprie ragioni, in termini di difesa dell’interesse nazionale? Sono interrogativi che restano, al momento, senza risposta. Forse sarebbe stato meglio discuterne, con maggiore chiarezza, fin dal momento dell’investitura.

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