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Che cosa è successo fra Vaticano e governo Draghi sul ddl Zan

I rapporti fra Vaticano e governo Draghi sul ddl Zan visti dal notista politico Francesco Damato

Per quanto all’occorrenza sappia essere spiritoso nella sua abituale severità, dubito che Mario Draghi sia in veste di presidente del Consiglio sia in veste di membro della Pontificia Accademia delle scienze sociali, nominato dal Papa ben prima che Sergio Mattarella lo mandasse a Palazzo Chigi, si sia riconosciuto e divertito nel vigile urbano di Roma proposto ai lettori del Corriere della Sera da Emilio Giannelli. Che in una vignetta lo ha immaginato in via della Conciliazione impegnato a multare l’auto del Pontefice, pizzicato in flagranza, diciamo così, di ingerenza per via della nota verbale della Segreteria di Stato del Vaticano consegnata all’ambasciata italiana presso la Santa Sede. In essa si chiede una diversa modulazione del disegno di legge già approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato contro l’omotransfobia, noto col nome del proponente: il deputato del Pd Alessandro Zan.

Emilio Giannelli ha interpretato, come altri su diversi giornali, le dichiarazioni fatte da Draghi al Senato, in riferimento a quella nota, alla stregua di una mezza porta in faccia sbattuta quanto meno al Segretario di Stato del Vaticano, se non proprio al Papa. Che d’altronde qualcuno, fra gli esperti delle mura leonine, ha immaginato sia stato preso alla sprovvista pure lui dall’iniziativa. Mi sembra francamente difficile che le cose oltre Tevere si siano italianizzate, cioè pasticciate, sino a questo punto. Né mi sembra che il Pontefice abbia tanta pazienza da sopportare in silenzio un evento del genere, senza destituire sul posto, e all’istante, un pur ragguardevole arcivescovo equiparabile al nostro ministro degli Esteri, per quanto si tratti nel nostro caso del giovane e necessariamente, direi anagraficamente poco esperto Luigi Di Maio.

Comunque, anche se l’ordinarietà, per le abitudini in voga nel nostro bel Paese, è scambiata qualche volta per eccezionalità, Draghi ha fatto poco di sconvolgente o di eroico nel ricordare alla Segreteria di Stato del Vaticano che la nostra è una Repubblica “laica, non confessionale”. Nella quale non a caso da anni ormai vigono, regolarmente disciplinati, il divorzio e l’aborto non certo di casa oltre Tevere. E personalmente andrei piano anche a liquidare come ingerenza l’iniziativa della Santa Sede, con o senza copertura del Papa, specie se ad avvertirla così negativamente sono persone e parti politiche – come ha osservato  il buon Mattia Feltri sulla Stampa nel suo “pianto greco”-  che si compiacciono, per esempio, delle posizioni della Chiesa in tema di immigrazione e simili per contrapporle a quelle dell’inviso Matteo Salvini. Il quale, a sentire i nostalgici di Giuseppe Conte, starebbe condizionando il governo nella maggioranza di emergenza ben più del Pd, delle 5 Stelle, o 5 schegge, della sinistra dei liberi e uguali o di tutti costoro messi insieme.

Piuttosto che la scontata natura laica e non confessionale della nostra Repubblica, mi ha  personalmente colpito delle dichiarazioni di Draghi al Senato la inopportunità da lui avvertita di “entrare nel merito” del controverso disegno di legge, trattenuto tanto a lungo in commissione, dopo l’approvazione alla Camera, proprio per l’azione di contrasto condotta dal centrodestra e per i dissensi esistenti anche all’interno di altri gruppi. Che non mi sembrano essere usciti indeboliti dalle critiche o preoccupazioni espresse, bene o male, dalla Chiesa e presumibilmente destinate ad alimentare quelle, diciamo così, domestiche. E che questo non sia “il momento del governo”, come ha detto Draghi nelle sue brevi ma meditatissime osservazioni nell’aula di Palazzo Madama, non mi sembra escludere che esso possa maturare successivamente, quando il confronto fra e nei gruppi, partiti e quant’altri sarà diventato più stringente, si presume dopo l’approdo del provvedimento in aula e la prevedibile rincorsa degli emendamenti.

Al Senato peraltro gli schieramenti tradizionalmente intesi di centrodestra e di centrosinistra, comprensivo quest’ultimo del MoVimento 5 Stelle in corso di una rifondazione talmente complicata da rischiare il crollo definitivo, sono talmente risicati e incerti che in ogni loro appuntamento con una votazione i numeri ballano come quelli del lotto. Ne sanno qualcosa proprio sotto le 5 Stelle, avendo Conte tentato di resistere alla crisi nei mesi scorsi barricandosi a Palazzo Chigi per ricevervi senatori di varia tendenza provvidenzialmente disposti a soccorrerlo per vanificare il passaggio all’opposizione minacciato o attuato, secondo le ore o i giorni, dai renziani.

Alla fine, come si ricorderà, sfiancato dalle attese, dalle trattative, dai ripensamenti, e  incalzato dal rischio di vedersi bocciato il guardasigilli grillino Alfonso Bonafede in un dibattito non eludibile sulla situazione della giustizia, l’allora presidente del Consiglio fu costretto praticamente alla resa e al commiato. Mi chiedo a questo punto perché si possano o si debbano escludere sorprese nell’esame ancora in corso della legge Zan, trasformata forse imprudentemente in una barricata dai soliti oltranzisti, che non mancano mai dalle nostre parti: a destra, a sinistra e persino al centro.

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