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Mattarella Renzi

C’era un eccesso di zelo nel discorso perfetto di Mattarella

C’è però un passaggio nel quale sembra che i ghost writer del presidente Mattarella si siano fatti prendere la mano e siano incorsi in quello che è il peccato mortale dell’alto burocrate, l’eccesso di zelo. E’ il punto in cui... Il corsivo di Teo Dalavecuras

 

Il presidente della Repubblica è obbligato, dal suo ruolo, a proclamare l’ovvio, possibilmente in maniera composta e senza errori di grammatica.

Questo vale per tutti i presidenti della storia repubblicana, da quelli a diverso titolo insofferenti verso certi lasciti della storia nazionale come il centralismo (Luigi Einaudi) oppure una certa ipocrisia originata dalla coda di paglia di un ceto dirigente sia politico che burocratico che conosce, molto meglio di chi lo critica o finge di criticarlo, i propri torti (Francesco Cossiga).

C’è stato chi, come Sandro Pertini, ha lasciato scorrere liberamente il proprio narcisismo, o come Giuseppe Saragat non ha sempre tenuto a freno una natura iraconda, o un’italianissima propensione alla scaramanzia come Giovanni Leone.

In generale, però, il decoro dell’istituzione in Italia ha retto assai meglio che in tanti altri Paesi, di certo grazie anche al ceto burocratico di prim’ordine che governa il Quirinale. Da questo punto di vista, il settennato di Mattarella è stato e continuerà di sicuro a essere sino alla fine esemplare, quale che sia il giudizio che ciascuno crederà di poter dare sulle sue scelte.

Per parlarne “stilisticamente”, l’allocuzione di fine anno di Sergio Mattarella può essere considerata non solo totalmente conforme alle regole che presiedono a questo rituale ma ineccepibile sotto ogni aspetto compreso quello scenografico.

Non si può che inchinarsi al senso del dovere di una squadra di persone di intelligenza sicuramente superiore alla media quali sono i redattori dei testi presidenziali che – opera tutt’altro che divertente – hanno tradotto in un dignitoso fraseggio i messaggi monocordi dai quali siamo stati bombardati nel corso di tutto il 2020, riuscendo a trasformarli in un discorso non privo di una punta di ottimismo.

C’è però un passaggio nel quale sembra che i ghost writer del presidente si siano fatti prendere la mano e siano incorsi in quello che è il peccato mortale dell’alto burocrate, l’eccesso di zelo. E’ il punto in cui fanno pronunciare a Mattarella (mi rifiuto di credere che le abbia scritte di suo pugno) le seguenti parole: “Io mi vaccinerò appena possibile, dopo le categorie che, essendo a rischio maggiore, debbono avere la precedenza”.

Va bene tutto, ma il presidente della Repubblica è pur sempre il rappresentante dell’unità nazionale. Per quanto malmessa, la Repubblica italiana non è ancora così conciata da non potersi permettere una dose di vaccino in più per risparmiare al proprio più alto esponente di fare la coda dietro le “categorie a rischio maggiore”.

Rincorrere in questi termini, a un livello rasoterra, il populismo, non solo non è all’altezza dell’istituzione ma nemmeno della storia politica di Sergio Mattarella. Certe cose sarebbe meglio lasciarle dire a Giuseppe Conte, che col suo latinorum si compiace di trattare da idioti i suoi concittadini (i quali a quanto pare dai sondaggi, in misura preponderante, apprezzano: ma questo è un problema loro, fossero pure il 99%: si sta parlando di stile, non di politica).

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