Stavolta sarà ancora più difficile per l’opposizione esercitare il consueto tentativo di tirare per la giacca il Capo dello Stato. Mentre Elly Schlein, Giuseppe Conte, il suo alleato del campo largo, stavolta allargato fino a un Matteo Renzi con toni da sfottò, si scagliavano come se fosse ancora campagna elettorale contro il premier Giorgia Meloni, accusata di perseguire “i suoi interessi di partito”, forte e netto si è levato il monito, che suona diretto alla Ue, di Sergio Mattarella.
“Non si può prescindere dall’Italia”, sono le parole del presidente della Repubblica, pur non intervenendo nel merito e nella procedura delle nomine, di fronte al rischio di escludere un Paese fondatore come l’Italia.
Meloni in parlamento, prima alla Camera poi al Senato (per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo di oggi e domani), attaccata da un’opposizione da campo molto largo purtroppo sulla mancanza di uno spirito unitario a difesa dell’interesse nazionale in passaggi decisivi come le nomine apicali della Ue, ha attaccato la politica degli accordi “nei caminetti”, riferendosi all’intesa raggiunta l’altro ieri in cui di fatto è stata tagliata fuori finora l’Italia, la politica dei tentativi “di mettere all’angolo Nazioni perché governate da esecutivi che non piacciono ma che sono frutto di libere elezioni in quei Paesi, frutto della volontà popolare”. Avverte, il premier, che non può funzionare come se una maggioranza “che si considera tale, fatta di Popolari, socialisti” decida chi va a fare cosa, perché si dovrebbe prima invece “decidere cosa fare”.
E quindi Meloni rigetta lo schema che mette insieme Ppe per la guida della Commissione Ue, Pse per quella del Consiglio europeo e Alto Rappresentante per i Liberali. Se non altro perché scandisce: “I Conservatori (presieduti dalla stessa Meloni ndr) sono la terza forza in Europa”. Al posto dei Liberali. Ma il punto sollevato da Meloni non sono le singole nomine. È l’approccio finora usato che il premier, peraltro del governo uscito nel modo migliore dalle elezioni europee, respinge seccamente. Un approccio al quale le nostre opposizioni vengono accusate di accodarsi pur di attaccare il governo di centrodestra. Un approccio che non tiene conto di “elezioni che hanno dimostrato, anche con il tasso di assenteismo, che in Europa c’è qualche problema”, incalza il premier che attacca contro “le burocrazia e gli ideologismi”, come quello sul green.
Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, segretario di Forza Italia che rappresenta in Italia il Ppe, di cui è vicepresidente, ribadisce che non si può prescindere dal dialogo con i Conservatori, conferma il suo sì alla candidatura di Ursula von der Leyen, ma avverte che “mai” voterà con una maggioranza di cui facciano parte anche i Verdi. Tajani sottolinea che all’Italia debba andare un vicepresidente della Commissione che sia anche commissario di peso. Matteo Salvini, l’altro vicepremier, ministro delle Infrastrutture e Trasporti, leader della Lega esprime apprezzamenti per il discorso di Meloni ma pone ancora una volta un paletto ferreo: “No all’inciucio con i socialisti, responsabili di scelte scellerate degli ultimi anni, la Lega lavora per rafforzare un’alternativa”.
La maggioranza di governo troverà come è prevedibile la sua “quadra”, la nota stonata come spesso accade è quella voglia matta dell’opposizione di cavalcare gli spiriti anti-italiani quando si tenta di mettere il nostro Paese in difficoltà. E stavolta non sembra proprio tiri aria da cercare di tirare per la giacca Mattarella. Che è stato netto: “Non si può prescindere dall’Italia”.
E, intanto, sempre ieri il presidente della Repubblica ha promulgato il provvedimento sull’Autonomia. “Pietra miliare nella storia della Repubblica”, esulta il governatore leghista del Veneto, Luca Zaia. Secondo i maligni, sarebbe andato a vuoto un certo sotterraneo pressing da sinistra perché l’Autonomia non avesse il nulla osta del Colle.