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Giorgetti

Che cosa succede al centrodestra alle prese con Conte

Perché Conte non può stare troppo tranquillo nonostante le diversità (enfatizzate dai giornali) tra i partiti del centrodestra.

Sarà pure cresciuto il suo gradimento per telefono, nei sondaggi che lo danno in crescita di consenso personale e lo hanno forse un po’ troppo imbaldanzito, pur giurando l’interessato di non temere l’impopolarità, ma Giuseppe Conte non può non avere avvertito il fossato che si è allargato in Parlamento fra lui e quanti compongono la sua maggioranza giallorossa. Non parliamo poi di quello più fisiologico fra il presidente del Consiglio e i parlamentari delle opposizioni di centrodestra, che hanno reagito compatti contro la sua “informativa” su ciò che sta per cambiare dal 4 maggio col nuovo decreto presidenziale sulla strada dell’emergenza virale.

Le distinzioni tra Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, appena rinnovate con l’occupazione leghista delle aule parlamentari criticate a distanza dal Cavaliere ricordando che “noi siamo diversi”, sono scomparse dopo il discorso del presidente del Consiglio. Quanto a durezza negli interventi, i forzisti – Roberto Occhiuto alla Camera e la capogruppo Anna Maria Bernini al Senato – non sono stati inferiori a Claudio Borghi e a Salvini in persona per i leghisti, e a Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, sempre fra Camera e Senato. Lo stesso Berlusconi dal suo rifugio in Provenza, mentre salivano a Roma le minacce del governo contro la governatrice forzista della Calabria Iole Santelli, che aveva anticipato dalle sue parti la riapertura dei bar, ha sentito il bisogno di “twittare” la sua delusione. “Capisco bene molte ragioni di scontento dei nostri alleati. Il governo ha ignorato fin qui le nostre proposte. I nostri alleati compiono scelte non concordate ma in nessun caso mettono in discussione il valore del centrodestra né la solidità dell’alleanza”, ha scritto o avvertito Berlusconi, per nulla trattenuto dal dotto e imprevisto richiamo di Conte all’”epistome” di Platone, e non di Rocco Casalino, da cui si lascerebbe ispirare a Palazzo Chigi.

Aveva evidentemente ragione, annusandone l’aria, il professore Giovanni Orsina, editorialista della Stampa, a liquidare già prima del dibattito parlamentare in una intervista come “fantapolitica” uno scenario d’intesa vera di Berlusconi con Conte chiedendosi “perché Forza Italia dovrebbe puntellare questo governo che è evidentemente debolissimo”: tanto debole da avere poi ricevuto dal socio di maggioranza Matteo Renzi in persona nell’aula del Senato un “ultimo” avvertimento a non forzare ulteriormente la mano con la Costituzione e con gli alleati. “Non abbiamo negato i pieni poteri a Salvini per darli a un altro”, ha gridato ad un certo punto l’ormai quasi socio ricordando come fosse stato lui stesso nella scorsa estate a promuovere la formazione del governo in carica, e pur esagerando con quel richiamo da “sciacallo” – come gli ha gridato Il Fatto Quotidiano – ai morti di coronavirus.

Dal Pd non sono stati espliciti e duri come l’ex segretario ma l’impazienza è stata avvertita nettamente. Alla Camera, per esempio, il vice segretario del partito Andrea Orlando ha criticato l’abuso dei decreti presidenziali e ha detto: “Non mi rassegno all’idea che non si possa collaborare con l’opposizione”.

Immagino, in questo “Primo Maggio del lavoro perduto” lamentato da Repubblica, quanto sia aumentata “l’ansia” del capo dello Stato avvertita alla vigilia del dibattito parlamentare dal quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda. Che aveva concluso il suo articolo soffermandosi sulle previsioni dei sostenitori della crisi su un Conte infine incapace di “arginare” il malcontento. E ciò “indipendentemente dal Quirinale, com’è ovvio”.

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