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Migrazioni

C’è una guerra geopolitica dietro gli sbarchi a Lesbo. Parla Dottori

Cosa si nasconde dietro gli sbarchi a Lesbo. L'intervista a Germano Dottori, tra i più autorevoli studiosi italiani dello scacchiere internazionale, di Giacomo Galeazzi a Interris.it

Professor Dottori, in quale scenario geopolitico si inserisce la tragedia umanitaria degli sbarchi a Lesbo?

“In uno scenario complesso, del quale la Grecia è una protagonista accidentale, in ragione della sua posizione geografica. L’urto in atto è più ampio ed è causato, da un lato, dalle ambizioni della Turchia e, dall’altro, dal modo in cui l’Europa le fronteggia. La politica estera turca è multivettoriale, mira ad espandere l’influenza di Ankara in un ventaglio di direzioni diverse, che si estendono dall’Asia centrale fino alla frontiera del Marocco. Dal punto di vista di Erdogan, la Turchia dovrebbe recuperare una capacità d’influenza significativa sulla parte dei Balcani che fu già soggetta agli ottomani. Per riuscirci, dovrebbe portare il suo paese nell’Ue, ma trova le porte sbarrate. Di qui, la necessità, fortemente avvertita da Erdogan, di scardinare le  frontiere Schengen e la conseguente prova di forza in atto”.

I migranti nei campi profughi sono ostaggio delle controversie tra paesi europei e mediorientali?

“Sono ostaggio delle ambizioni della Turchia e della spregiudicatezza del suo leader, forse la personalità politica contemporanea più simile al Valentino Borgia descritto da Machiavelli ne Il Principe”.

Molti osservatori parlano di un ricatto di Erdogan all’Ue. E’ così?

“Solo in parte. C’è anche quello, sicuramente: i migranti vengono utilizzati per ottenere denaro dall’Europa o anche per stigmatizzarne la presunta passività in Siria. Tuttavia, la mia impressione è che Erdogan usi i profughi in vista di un obiettivo più importante, di natura strategica, ovvero per disintegrare l’Unione Europea, che gli chiude la via dei Balcani. Non è in grado di minacciare l’euro, ma può sottoporre a tensioni i trattati di Schengen. Questa circostanza pone gli europei di fronte ad un dilemma molto difficile, obbligandoli ad una scelta tra l’accoglienza dei più sventurati e la necessità di prevenire una crisi ulteriore del processo d’integrazione. Se salta l’Ue, si torna all’Europa del 1914”.

Qual è il ruolo della Turchia nella complessa gestione dei flussi migratori?

“La Turchia è geopoliticamente la cerniera tra Asia centrale, Medio Oriente ed Europa. E’ quindi divenuta un paese di transito per migranti provenienti da molte zone turbolente del pianeta, che tuttavia tende a trattare in modo differenziato. Degli afghani, ad esempio, Erdogan ha cercato già in passato di liberarsi senza troppi complimenti, e così pure dei curdi. Il piccolo Alan Kurdi spiaggiato a Bodrum veniva dal Rojava, che è sotto il controllo di un’organizzazione politica considerata terroristica dai turchi, perché apparentata al Pkk. Questi sventurati sono letteralmente carne da cannone dei nostri tempi. Sono persone utilizzate come missili cruise contro l’opinione pubblica europea. Nei confronti di altri profughi, invece, la Turchia è più protettiva. Perché le servono in funzione di un altro progetto, quello di creare quando sarà possibile una sfera d’influenza in Siria più ampia di quella che si intravede oggi”.

Dopo il mondo diviso in due dalla guerra fredda, siamo passati agli interessi contrapposti delle potenze regionali come Iran, Egitto, Turchia?

“Era stato previsto dagli analisti più lucidi. L’equilibrio del terrore assicurato dalle armi nucleari ha ceduto il passo a forme più tradizionali e fragili di equilibrio di potenza, basate sulla conta delle armi convenzionali e vari altri strumenti di pressione, nelle quali la pace e la stabilità vengono a dipendere da variabili meno facilmente apprezzabili e la deterrenza talvolta fallisce. L’Occidente, che era tenuto assieme dalla minaccia sovietica, ha perso coesione. Mentre la scomparsa dell’Unione Sovietica ha drasticamente ridotto la capacità globale di controllare la conflittualità”.

E gli Stati Uniti?

“Gli Stati Uniti restano potentissimi, ma non sono più disponibili ad intervenire ovunque: non lo ritengono più conveniente, anche perché di quanto provano a fare poi sono altri a cogliere i frutti. C’è conseguentemente più spazio per le medie potenze e anche per quelle grandi del passato, come Francia, Germania e Gran Bretagna. Quanto alla Cina, ha smesso di crescere solo economicamente: ora chiede di partecipare al governo del mondo in una posizione che le permetta di contribuire anche alla riscrittura delle regole del gioco globali. E persegue la ricerca del vantaggio in molte dimensioni critiche dello spazio strategico. L’America sta reagendo. Chiunque si trovi alla Casa Bianca il prossimo anno avrà un’agenda dominata dalla volontà di contenere la Cina. L’unico candidato morbido su questo punto, Bloomberg, è appena uscito di scena”.

(estratto da Interris.it)

 

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