Di fronte a quanto accade in Israele aggredita dal terrorismo palestinese fra gli osceni applausi iraniani e il prevedibile sollievo di Putin, che spera di vedere l’Occidente distrarsi dalle schifezze in Ucraina, si ha un certo imbarazzo a calarsi nella miserevole – al confronto – staffetta giudiziaria di Catania. Dove la giudice Iolanda Apostolico ha fatto scuola, diciamo così, ed è stata non solo imitata ma superata dal collega Rosario Maria Annibale Cupri. Il quale ha liberato il doppio – da tre a sei – di migranti irregolari fermati dal questore di Ragusa non per capriccio ma in esecuzione di una legge. Che l’Apostolico, sostituendosi ai giudici della Consulta, aveva appena considerato in contrasto con la Costituzione, oltre che con norme e trattati europei, incorrendo in un ricorso che, per quanto non ancora formalizzato, avrebbe forse dovuto consigliare al suo collega Cupri una certa cautela. Giusto per non dare l’impressione che il tribunale di Catania sia diventato una postazione di guerriglia contro un governo già “basito” – parola della premier in persona, Giorgia Meloni – dall’altra decisione.
CATANIA SORPASSA FIRENZE
Sì, lo so. Anche dal tribunale di Firenze è partita una certa invasione di campo sul terreno migratorio classificando la Tunisia come paese non sicuro e proteggendo quindi chi ne proviene o rischia di esservi rispedito. Ma la squadra giudiziaria di Catania ha sorpassato quella di Firenze in questa corsa al disordine, quanto meno. Con quanta soddisfazione per gli scafisti, e per il loro commercio di carne umana, vi lascio immaginare.
LA GIUSTIZIA E I MAGISTRATI
Il buon Luigi Ferrarella ci invita proprio oggi sul Corriere della Sera a pensare alla domanda che un magistrato è costretto o solo portato a porsi ogni volta che deve prendere una decisione, visto il clima polemico che si è creato nei tribunali e dintorni. Sarebbe la domanda sui vantaggi o rischi che corre ogni volta che deve, appunto, decidere. Vantaggi e rischi, evidentemente, ai fini della sua popolarità – o impopolarità, visto che i sondaggi, come ha appena verificato Alessandro Ghisleri sulla Stampa. non sono incoraggianti per le toghe- e della sua carriera.
Ma beati i magistrati, che rischiano solo questo, cioè qualche punto di popolarità o inconveniente per la carriera su cui in ogni caso decidono sempre e solo i loro colleghi nel Consiglio Superiore. Pensate un po’ a quei poveretti o disgraziati di geometri, ingegneri, architetti, medici, infermieri e – se consentite, anche noi giornalisti – che rischiamo, oltre alla galera, anche di risarcire con le nostre tasche i danni che possiamo procurare con errori o deliri di onnipotenza. La responsabilità civile dei magistrati, pur sancita dagli elettori referendari nel lontano 1987, è invece rimasta un fortino quasi inaccessibile nella nostra legislazione.