Un gesto raro: la lettera del MIT Technology Review
Il 4 ottobre 2025, MIT Technology Review, la rivista di tecnologia legata al Massachusetts Institute of Technology, ha pubblicato una lettera ai lettori che in Italia avrebbe del miracoloso.
Il direttore Mat Honan ha ammesso che un’inchiesta del numero di settembre-ottobre, intitolata “The Church Will See You Now”, conteneva errori di fatto e affermazioni non verificabili. L’articolo riguardava Gloo, una piattaforma tecnologica americana dedicata alle chiese e alla “faith ecosystem”.
Dopo la pubblicazione, la redazione ha ricevuto segnalazioni e dubbi su diversi passaggi. Invece di archiviare la questione, ha scelto una strada inusuale: ha ingaggiato un auditor indipendente per riesaminare l’inchiesta, ha ritirato il pezzo dal sito e ha pubblicamente chiesto scusa ai lettori, illustrando anche le misure correttive adottate: nuove linee guida editoriali, aggiornamento del processo di fact-checking e formazione interna per gli editor.
Honan ha scritto: “A volte sbagliamo. Ma parte del nostro dovere è ammetterlo apertamente, perché la credibilità di una testata si misura anche dal modo in cui reagisce ai propri errori.”
L’articolo contestato: il caso Gloo
L’inchiesta originaria descriveva Gloo come una piattaforma capace di raccogliere e analizzare dati dei fedeli — da comportamenti di consumo a indicatori psicografici — per supportare le chiese nelle attività pastorali.
Secondo il successivo audit indipendente, alcune affermazioni erano:
- Non verificabili (come l’uso di dati biometrici e sistemi di riconoscimento facciale nei luoghi di culto);
- Imprecise o esagerate, in particolare sulle dimensioni della base dati e del numero di chiese clienti;
- Speculative, quando collegavano i dati raccolti a presunte strategie di “marketing spirituale” o di conversione.
Non era quindi un “falso giornalistico”, ma un’inchiesta che aveva superato la linea del verificabile, mischiando dati, ipotesi e retorica. Una caduta editoriale che la rivista ha scelto di affrontare in modo radicalmente trasparente.
In Italia, invece
Nel giornalismo italiano un gesto simile è quasi inconcepibile. Le rettifiche vengono pubblicate solo se obbligate per legge, spesso in corpo minuscolo e senza rilievo. Quasi nessun direttore scrive ai lettori per spiegare un errore o per illustrare come cambierà la redazione dopo una svista. L’idea stessa di un audit indipendente su un articolo è pressoché sconosciuta.
Eppure, secondo il Reuters Institute di Oxford (2024), solo il 27% degli italiani si fida delle notizie. Negli Stati Uniti, nonostante la polarizzazione politica, la fiducia resta superiore al 40%.
La differenza non è tanto nella qualità delle informazioni, quanto nella cultura della responsabilità. Negli ecosistemi anglosassoni, la trasparenza è parte della fiducia; in Italia, l’ammissione dell’errore è ancora vissuta come una colpa da nascondere.
La lezione da imparare
In un’epoca in cui le notizie competono con i social e con l’intelligenza artificiale, la credibilità diventa l’unico vero capitale di un giornale.
Riconoscere un errore, spiegarlo e correggerlo pubblicamente non indebolisce una testata: la rafforza.
Forse la vera innovazione, nel giornalismo come nella tecnologia, sta tutta qui nella capacità di dire: “abbiamo sbagliato. E vogliamo capire come non farlo più.”