Non ci voleva francamente molto a prevederlo. Attaccato dal segretario ed altri esponenti del Pd per la sua intervista alla Stampa sulla festa di liberazione e dintorni, il presidente del Senato ne ha contestato il titolo “volutamente fuorviante”. Che in prima pagina diceva ieri: “Non festeggio questo 25 aprile”.
Ad una specifica domanda Ignazio La Russa aveva risposto: “Dipende. Certo non sfilerò nei cortei per come si svolgono oggi perché lì non si celebra una festa della libertà e della democrazia ma qualcosa di completamente diverso, appannaggio di una certa sinistra”. E aveva ricordato il suo modo istituzionale di partecipare alla festa, quando era ministro della Difesa e andò a depositare una corona al cimitero di Milano davanti al monumento dei partigiani.
Ma la protesta di La Russa, espressa per agenzie d’informazione e altri siti elettronici, è stata respinta con la stessa procedura dal direttore della Stampa Massimo Giannini sostenendo di “non aver fuorviato un bel niente”. La polemica si è infine tradotta in uno scambio di lettere fra i due pubblicate oggi in prima pagina sullo storico quotidiano torinese. In cui da una parte La Russa ricorda episodi di intolleranza, a dir poco, che hanno frequentemente caratterizzato in piazza la festa di liberazione: ai danni, per esempio, delle rappresentanze delle forze ebraiche che parteciparono alla lotta contro l’occupazione nazifascita dell’Italia, o del padre di Letizia Moratti quando la figlia era sindaco di Milano. Dall’altra parte Giannini, riducendo le contestazioni lamentate dal presidente del Senato a episodi “del tutto marginali”, se la prende con “un busto di Mussolini” custodito da La Russa a casa sua invitandolo a scomodare Giorgia Meloni da Palazzo Chigi per “buttarlo via” insieme, a sostanziale titolo di liberazione della destra che entrambi rappresentano dalla dipendenza culturale e politica dal fascismo.
Eppure nella stessa intervista di Paolo Colonnello al presidente del Senato, condotta con tono incalzante ma amichevole derivante dai rapporti esistenti tra loro da quando a Milano l’uno era cronista giudiziario e l’altro esercitava la professione di avvocato, la storia di quel “busto” si trova raccontata in un modo che lascia sospettare che il direttore della Stampa non l’abbia letta, o non le abbia voluto credere. Sentitela rileggendo con me il passaggio in cui si descrive La Russa che, rispondendo ad una domanda dell’ospite, lo accompagna in una ricognizione, chiamiamola così, destinata a sfatare la leggenda della sua casa trasformata in una specie di mausoleo fascista, con tanto di busto, appunto, di Mussolini. “In effetti -racconta Colonnello- è una statuetta poco ingombrante del Duce, con stivaloni e mani sui fianchi, appoggiata su una mensola di un corridoio in penombra”. La cui origine è così riferita da La Russa: “E’ un oggetto che apparteneva a mio padre, persona che adoravo, e che ho ereditato. Avrei dovuto buttarlo? E’ sempre stato in questo corridoio, insieme a un elmetto dell’esercito popolare cinese e a un fregio comunista dell’Urss”.
E’ personalmente e francamente imbarazzante per un vecchio giornalista questa polemica del sessantenne direttore della Stampa condotta contro il presidente del Senato su simili basi. Una polemica, fra l’altro, che deriva dalla curiosa convinzione che la liberazione dell’Italia dal nazifascismo debba essere celebrata a un livello istituzionale come quello ora di La Russa solo mettendosi a capo o nel mezzo di un corteo, cui non ricordo di avere mai visto un presidente in carica della Repubblica o del Senato. Pertanto mi chiedo se siamo più davanti a un “caso La Russa”, denunciato dal segretario del Pd Enrico Letta anche in una intervista al quotidiano piemontese in cui la seconda carica dello Stato è accusata di essere troppo “divisiva”, o ad un “caso La Stampa”, con tutto il rispetto dovuto, per carità, al quotidiano storico di Torino e fra i più diffusi e autorevoli giornali d’Italia.