La maggior parte degli editorialisti politici continua ad insistere sulla rassicurante continuità tra il governo di Mario Draghi e quello di Giorgia Meloni. Non è così. Nei primi cento giorni diverse cose sono cambiate, soprattutto per quanto attiene allo stile politico e alla comunicazione.
Tuttavia, dopo i fatti di questi giorni la maggiore differenza che potrebbe emergere tra Draghi e Meloni riguarda l’intransigenza morale. Mario Draghi non ha avuto esitazioni a far dimettere membri del suo governo, per esempio Claudio Durigon (che – per inciso – Salvini ha riportato ora nell’esecutivo). La vicenda Durigon è diversa da quella accaduta in questi giorni e francamente meno grave. Con ogni probabilità si è trattato solo di un caso di ignoranza: Durigon non sapeva che Arnaldo Mussolini era al centro del delitto Matteotti per una tangente di una società petrolifera straniera pagata al Partito Nazionale Fascista per ottenere l’autorizzazione a perforare il territorio italiano.
Posso naturalmente sbagliare, ma non ho dubbi che in un contesto come l’attuale Mario Draghi avrebbe sfiduciato il sottosegretario alla Giustizia Andrea del Mastro: il comportamento che ha confessato è palesemente incompatibile con la carica che riveste.
Per quanto riguarda Fratelli d’Italia, il discorso vale anche per Giovanni Donzelli (non ovviamente per le offese al Pd). In qualità di vicepresidente del COPASIR è venuto meno ai doveri di ufficio chiaramente indicati nella legge 124/2007. Da solo, – o d’intesa con la presidenza del COPASIR, avrebbe dovuto informare in forma riservata l’autorità giudiziaria di una ipotetica notizia di reato a carico di un esponente membro del governo, per giunta sottosegretario del ministero della Giustizia. Si tratta di un obbligo politico, prima che di un preciso dovere di ogni pubblico ufficiale.
Nei panni di Giorgia Meloni – considerando le sue capacità politiche e le sue ambizioni di statista – non avrei dubbi. Indietreggiare su materie giuridicamente ed eticamente così delicate (per giunta a pochi mesi dall’insediamento a Palazzo Chigi) potrebbe aprire più di una incognita sul suo futuro politico. Aggiungo che difendere (giustamente) il 41 bis per i mafiosi e – nel contempo – mantenere a suo fianco come sottosegretario Andrea Del Mastro getterebbe un’ombra anche sulla credibilità di Carlo Nordio.
Il trinomio Legalità, Sicurezza e Giustizia è da sempre la stella polare di Giorgia Meloni e del suo partito. Agire con coerenza sanzionando chi ha sbagliato non è soltanto giusto, ma un doveroso atto di correttezza istituzionale per non tradire la fiducia dei cittadini. Non c’entra né la maggioranza né l’opposizione, non c’entra il centro né la destra né la sinistra: è solo e semplicemente questione di reputazione, dignità e onore. E anche di intelligenza politica.
Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro dovrebbero capire da soli che un passo indietro oggi è nel loro interesse, in quello di FdI e in quello del governo. In questo caso il garantismo non c’entra perché è evidente che qualcosa hanno sbagliato.