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Tajani Salvini

Casi e casini a Palazzo Chigi

Che cosa sta succedendo a Palazzo Chigi? I Graffi di Damato Con maggiore evidenza rispetto ad altri giornali è chiamato “caso Salvini” da Repubblica e dall’Unità, che lo spiega nel titolo di apertura in prima pagina scrivendo che il vice presidente leghista del Consiglio e ministro delle Infrastrutture “manda a quel Paese Meloni” perché “silurato…

Che cosa sta succedendo a Palazzo Chigi? I Graffi di Damato

Con maggiore evidenza rispetto ad altri giornali è chiamato “caso Salvini” da Repubblica e dall’Unità, che lo spiega nel titolo di apertura in prima pagina scrivendo che il vice presidente leghista del Consiglio e ministro delle Infrastrutture “manda a quel Paese Meloni” perché “silurato su migranti e autonomia”. Ma sembra anche sulla preparazione della manovra e del bilancio per le competenze più specifiche spettanti al suo collega di partito e ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Col quale il capo del Carroccio si trova più spesso in disaccordo che d’accordo, anche se per ragioni interne di partito si trattiene dal dirlo, lasciando che lo scrivano i retroscenisti nelle cronache interpretando silenzi e battute ora dell’uno e ora dell’altro.

Ma più che di un “caso Salvini” sarebbe il caso di parlare e di scrivere di un “caso dei vice” presidenti del Consiglio, che si alternano nelle delusioni e persino nelle proteste contro decisioni prese a loro insaputa dalla premier Giorgia Meloni. Che in alcuni casi, per esempio con Antonio Tajani per l’intervento fiscale sulle banche, se m’è pure vantata pubblicamente. Cinque anni fa avevamo un presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, praticamente diretto dai suoi due vice che erano Luigi Di Maio, per i grillimi, e Salvini, sempre lui. Ora abbiamo due vice presidenti più di nome che di fatto. E una Meloni atleticamente straripante e decisionista della vignetta di Nico Pillinini sulla Gazzetta del Mezzogiorno, dove hanno imparato a conoscerla meglio nella sua vacanza d’agosto in Puglia, peraltro conclusasi con quattro ore di vertice conviviale con Salvini che sembravano avessero messo a posto tutto quello che doveva essere chiarito fra i due. Ma già il giorno dopo i rapporti sarebbero stati guastati da Salvini corteggiando elettoralmente il generale Roberto Vannacci per il suo “Mondo al contrario”, disapprovato invece dal ministro meloniano della Difesa Guido Crosetto.

Gratta gratta, però, come con i biglietti delle lotterie, più ancora del caso Salvini o del caso dei vice della Meloni che ogni tanto sentono di contare quando il due a briscola, si scopre o si capisce che il problema più spinoso a Palazzo Chigi e dintorni è quello del ruolo molto cresciuto del sottosegretario Alfredo Mantovano. Che oltre alla delicatissima delega sui servizi segreti, dispone di una fiducia praticamente illimitata della premier su ogni problema le arrivi sulla scrivania.

Non più parlamentare della destra dal 2013 dopo essere stato per otto anni sottosegretario all’Interno con competenze delicate come quella sul trattamento dei pentiti, Mantovano non ha mai dismesso la riservatezza e la severità di quando era pubblico ministero. Non è fra i parenti diretti o acquisiti della Meloni, ma sembra che conti anche più di loro. E abbia per giunta maturato, per i suoi modi, e per le sue relazioni anche oltre Tevere, un rapporto eccellente e prezioso col Quirinale. Qualcuno lo avverte come un asso pigliatutto.

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