Come il trumpismo “imperiale” lamentato oggi sul Corriere della Sera da Sabino Cassese Trump può appartenere alla serie dei mali che non vengono tutti per nuocere, se produrrà in Europa la consapevolezza della pericolosità del suo percorso unitario troppo lento e spesso pasticciato, così l’annuncio del presidente francese Emmanuel Macron di un altro vertice informale e parziale, ma soprattutto al di fuori delle sedi e procedure istituzionali dell’Unione, appartiene alla serie degli errori che sono umani quando compiuti una volta o ogni tanto, ma diabolici se persistenti.
Quello di Macron è un accanimento contro l’occasione pur avuta dall’Unione Europea – che ha sede a Bruxelles e istituzioni concordate in tanto di trattati – di serrare le file e di darsi davvero una comune politica estera e di difesa. Come auspicata, raccomandata e quant’altro dall’ex premier italiano ed ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi parlando non in qualche circolo Rotary ma al Parlamento. E dopo uno studio affidatogli dalla presidente della Commissione dell’Unione presieduta da Ursula von der Leyen. Alla quale Macron ha fatto non la cortesia ma la scorrettezza, di invitarla come ospite al “suo” primo vertice.
Eppure Ursula von der Leyen è al suo primo anno del secondo mandato mentre Macron è al terzo del suo secondo e ultimo mandato quinquennale, debole ormai come una foglia sull’albero d’autunno, in grado di promuovere solo governi di sostanziale minoranza, quasi stagionali. E ciò in un Parlamento fatto rinnovare in anticipo dallo stesso Macron nella presunzione di potervi coltivare maggioranze stabili
Che quest’uomo possa promuovere, guidare e portare con le sue iniziative “informali”, ripeto, alla vittoria la resistenza dell’Unione Europea al trumpismo da cui anche lui la sente minacciata, è una prospettiva alquanto incerta. Quella del presidente francese più che una terapia di ripresa è un accanimento. Più che forza, è debolezza decorata di stucchi in quella reggia presidenziale che è l’Eliseo. Prima o dopo qualcuno glielo dovrà gridare, visto che non basta dirglielo o farglielo capire a bassa voce, o con tatto diplomatico. Come ha cercato di fare, per esempio, ieri nei cinque minuti da Bruno Vespa il vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani raccomandando compostezza e non “panico” o vanità. Non è più il tempo in cui Parigi valeva bene una messa.