skip to Main Content

Primo Maggio

Non solo Malika. Cari ragazzi, non lasciatevi rubare il futuro e la dignità delle vostre scelte

Carissima Malika, nel gioco dell’assunzione delle responsabilità, forse gli adulti che ti circondano ti hanno usata e si sono serviti di te e della tua storia per una manciata di like. Il taccuino di suor Anna Monia Alfieri

 

Parla a nuora perché suocera intenda. Così recita uno dei tanti detti popolari, così intrisi di una sapienza nata dalla vita concreta. Mi piacciono i proverbi, perché sono una forma di trasmissione del sapere. Guardando alla società di oggi, mi rendo sempre più conto del fatto che ai giovani del secondo millennio, purtroppo, gli adulti, rimasti adolescenti, lasceranno solo slogan che dividono, in quanto costruiti sul nulla mischiato all’odio. I proverbi, al contrario, nascevano dalla fame patita per davvero, dalla farina comprata con la tessera: essi venivano coniati per fornire ai giovani una prima, rudimentale forma di conoscenza. Gli slogan di oggi, invece, nascono dal benessere non conquistato, dal successo facile, e guardano alle nuove generazioni come ad una categoria di sprovveduti, confusi e influenzabili; è infatti evidente che gli slogan elaborati dalla società contemporanea sono indirizzati a rendere i nostri giovani schiavi.

Non voglio che queste mie parole sembrino nascere da una nostalgia per il passato. Al contrario, sono fermamente convinta che occorre guardare al presente e costruire il futuro. Guardo, infatti, il presente, ne constato le fragilità, tentando di mettere in guardia i giovani, cittadini del domani. Non è un semplice oh tempora, oh mores. Lungi da me. Il presente merita un’attenzione tutta particolare.

Sono rimasta, ancora una volta, sgomenta leggendo gli attacchi alla giovane Malika Chalhy che, circa due mesi fa, raccontava di essere stata cacciata da casa dai genitori in seguito alla manifestazione del proprio orientamento sessuale. Per circa due mesi di Malika hanno parlato tutte le tv, i social, la carta stampata. Aiutare le tante Malika che, ancora oggi, sono cacciate dalla famiglia e dagli amici, che sono vittime di atti di bullismo è un dovere. Ma in che modo? Non certo come la schiera dei paladini della non discriminazione, improvvisati sociologi e pedagogisti, illuminati educatori che prendono le difese di Malika (chi, del resto, oserebbe fare il contrario con il rischio di divenire impopolare o, peggio, di essere accusato di omofobia?) e si ergono implacabili accusatori dei genitori, emettendo sentenze di condanna. Qui sine peccato est vestrum… Il tutto, lo voglio ricordare, in un Paese, il nostro, che da tempo ha archiviato il contraddittorio e la difesa, perché o si è pro o si è contro, o si è amico o si è nemico. Attenzione: così facendo si alimenta l’odio. Cui prodest? A nessuno. A patto che vogliamo essere persone intelligenti e di animo retto.

Ora, e mi rivolgo alle tantissime Malika del nostro tempo, occorre capire che, nel tribunale dei social, si diventa delle utili vittime e, in nome di questa utilità, si rinuncia a ricucire il rapporto con la famiglia, ad emanciparsi, a capire che l’integrazione si gioca sulla quotidianità, sul confronto, sul dialogo.

Non ci sarà mai una legge che potrà sostituirsi al movimento del cuore e della testa. Se penso alla mia esperienza, sono convinta di essere cresciuta in un’epoca nella quale, quando si comunicava ai propri genitori le scelte di vita, si avevano adulti che aiutavano, nel rispetto della propria personalità, a crescere. Quando, ventenne, manifestai ai miei genitori, cattolici praticanti, che volevo diventare suora, fu un momento difficile per loro, come per me. Ero furiosa, consideravo i miei genitori egoisti, forse anche un po’ razzisti, ma intorno avevo adulti che mi aiutarono a leggere le cose nel giusto modo. Oggi, a 46 anni, sono una religiosa proprio grazie ai miei genitori, ai loro dubbi e ai nostri confronti. Mio padre era fiero con gli amici della figlia suora. Qui sta la differenza.

Carissima Malika, nel gioco dell’assunzione delle responsabilità, forse gli adulti che ti circondano ti hanno usata e si sono serviti di te e della tua storia per una manciata di like. Res amara valde. Avverto così il dovere di scusarmi con te proprio per gli adulti che ti hanno ingannata e con te hanno ingannato i tanti giovani che credono davvero che quegli adulti che brandiscono il DDL Zan come una spada (una legge dal testo intriso di violenza e discriminazione proprio verso i più fragili per il loro orientamento sessuale e non solo) abbiano a cuore il contrasto della discriminazione.

Un paradosso che è facilmente rintracciabile già in manifestazioni come il gay pride, in cui si ritiene funzionale alla non discriminazione trasformare le proprie scelte in fenomeni da baraccone, profanando addirittura il Crocefisso, simbolo, in fin dei conti, di un sacrificio pro vobis et pro multis, cioè per tutti. Se, attraverso la profanazione del Crocefisso, si voleva colpire la Chiesa, vista solo come istituzione umana, non è forse giunto il momento di comprendere, al di là di ogni ideologia, che alla Chiesa dell’orientamento sessuale delle persone non importa nulla? E che, semmai, la Chiesa si oppone a qualsiasi forma di pensiero che voglia essere dominante e ledere la dignità dell’uomo dalla quale discende la sua libertà? Soprattutto, che alla Chiesa interessa difendere i più fragili, i giovani che devono crescere sviluppando la loro personalità, senza alcuna forma di coercizione? E, per favore, mi rivolgo a chi non la pensa come me, non tirate fuori la solita storia della pedofilia nella Chiesa. Andiamo oltre gli slogan e comprendiamo che, quando l’unico elemento unificatore è l’essere CONTRO qualcuno, qualcosa non funziona.

Oggi quegli stessi adulti che hanno usato la storia di Malika come la prova provata che il DDL Zan è una legge che serve si sdegnano per il fatto che Malika abbia utilizzato quei soldi in modo improprio.

Ma chi lo dice che era improprio? In primis, quando smontiamo le regole, i punti di riferimento, cambia l’ordine dei bisogni e anche la Mercedes può trovare il suo perché. In secundis, come possiamo pensare che i nostri ragazzi non si servano delle circostanze per interessi terzi, se si devono misurare con adulti che, ogni istante, usano loro e la storia proprio per interessi terzi? Del resto, una legge che tende a diffondere il pensiero unico, ad alimentare la discriminazione, ad innescare l’odio e la violenza, che sta spaccando il Paese in due può sperare in qualcosa di diverso?

Facile, di conseguenza, trasformare Malika da vittima ad approfittatrice. Noi adulti avremmo dovuto dare a Malika e a tutti i giovani gli strumenti per conoscere, per approfondire. Il rispetto si gioca sulla libertà che muove responsabilità e corresponsabilità. Il tutto nella cornice dell’armonia che non spacca mai, che è capace di tenere insieme le parti, le persone, gli opposti. Solo se agiamo con la cultura, con la conoscenza, Malika e i giovani si sentiranno liberi di dire chi sono, con dignità e fierezza (il rispetto è una conquista) e si sentiranno in dovere di non tradire e deludere chi si è fidato di loro. Chi si batte per davvero contro la discriminazione è capace di assumere su di sè il peso della battaglia, dedicandovi tempo, compiendo il proprio dovere, costi quel che costi, senza usare gli altri.

La scuola, in tutto questo, può dimostrare di essere la carta vincente: non adagiandosi sul pensiero unico, non diventando responsabile della discriminazione, ma dando agli studenti la conoscenza, il sapere, gli strumenti per orientarsi e vincere per davvero la discriminazione che non ha colore e non ha odore, colpisce tutti. La scuola è il luogo in cui tutti si devono sentire accolti e sviluppare in modo armonico e consapevole la propria personalità. A questo serve la scuola.

Malika carissima, ti auguro di non farti usare più, di restare a testa alta, fiera di te e delle tue scelte, chiedendo il rispetto che si ottiene solo non tradendo se stessi e rifuggendo dalla trappola dei compromessi. Sei disposta, Malika, a dare il tuo tempo, le tue energie, perché nessun altro giovane sia discriminato e usato?

Parlo a nuora perché suocera intenda. Ecco cosa innesca una legge come il DDL Zan: fermiamoci e valutiamo le conseguenze di una legge che non solo discrimina ma impone un pensiero unico. Fermiamoci ai principi contenuti nella Costituzione, lavoriamo perché essi siano garantiti e rispettati. Non basiamo tutto su una ideologia, cerchiamo la verità che unisce i cittadini. Amicus Plato, sed magis amica veritas.

Back To Top