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Cari europei, l’Ue si sta sgretolando. L’analisi del politologo Walter Russell Mead

“Incredible Shrinking Europe”, è il titolo dell’ultima column sul Wall Street Journal del politologo Walter Russell Mead, che mette in fila una serie di dati che ci riguardano. L'approfondimento di Federico Punzi per Atlantico

“Incredible Shrinking Europe”, è il titolo dell’ultima column sul Wall Street Journal del politologo Walter Russell Mead, che mette in fila una serie di dati che ci riguardano. Se l’allarme di Deutsche Bank su una possibile recessione in Germania e il taglio delle previsioni di crescita dell’Eurozona per il 2019, da un già “anemico” 1,9 per cento all’1,3, possono apparire come segnali di una crisi congiunturale, una più inquietante tendenza strutturale emerge se allunghiamo lo sguardo. Il prodotto dell’Eurozona nel 2017 è stato inferiore del 2 per cento rispetto a quello del 2009, mentre secondo i dati della Banca mondiale, nello stesso periodo la Cina è cresciuta del 139 per cento, l’India del 96 per cento e gli Stati Uniti (da cui è originata la crisi del 2008) sono cresciuti del 34 per cento.

“Sta diventando sempre più evidente – secondo WRM – che il grande progetto sta fallendo” e l’influenza globale del Vecchio Continente sta svanendo. “Un’espansione accidentata ed eccessivamente ambiziosa ha indebolito anziché rafforzare l’Ue. L’euro è stato un fallimento economico e politico, mentre l’unità diplomatica resta un sogno lontano”.

Da una parte l’economia ristagna, aumenta il gap con i tassi di crescita degli altri continenti, e tra gli stessi stati membri. Il risultato, probabilmente inevitabile, di una programmazione economica di stampo socialista. Dall’altra, l’Europa è sempre più divisa anche politicamente. L’imminente uscita del Regno Unito e l’onda lunga delle lacerazioni dei negoziati; i Paesi dell’Europa centro-orientale come Ungheria e Polonia sempre più distanti da quelli dell’Europa occidentale; quelli del Sud Europa che ancora covano rancore per i postumi della crisi economica; i partiti politici anti-europeisti e nazionalisti che continuano a guadagnare consensi. A tutto questo si aggiunge, o forse ne è la premessa, un declino demografico associato all’urbanizzazione e al benessere.

L’Ue, ricorda il politologo, “fu fondata per fermare il declino dell’Europa, non per rispecchiarlo”, ma in queste settimane “fresh evidence” stanno dimostrando che “il cambiamento più significativo degli ultimi cento anni continua: il declino geopolitico dell’Europa”. Dopo la Guerra Fredda, attraverso il processo di integrazione Ue, “l’Europa ha cercato di trasformarsi in una potenza globale capace di rapportarsi alla pari con Stati Uniti e Cina”. Ma non ce la sta facendo.

Tutte le grandi o medie potenze vicine – Russia, Turchia, Israele e Stati arabi – sfidano quando vogliono le ambizioni Ue, spiega WRM. “L’influenza europea a Washington, già in declino durante gli anni di Obama, è al punto più basso con Trump. Né Mosca né Washington hanno avuto riguardo degli interessi europei nel sospendere il Trattato INF, che limita lo schieramento di missili in Europa. La Cina prende più seriamente Giappone e India che l’Ue, e né gli Stati Uniti né la Cina sono particolarmente preoccupati di cosa pensino gli europei mentre negoziano intese commerciali che possono ridefinire il sistema commerciale mondiale. Una sola iniziativa europea ha funzionato: il mercato unico. L’Europa resta formidabile come blocco di consumo e la capacità Ue di dettare le condizioni alle quali compagnie straniere come Google e Gazprom operano all’interno del suo ricco mercato è la carta più importante nelle sue mani”.

Francia e Germania restano “fermamente impegnate nel progetto europeo”, ma con il Regno Unito che se ne va, Italia e Polonia “ammutinate” e l’Ungheria “ribelle”, “le prospettive si stanno offuscando”. Per arrestare il declino dell’Europa, Parigi e Berlino dovrebbero elaborare un programma per “rilanciare la crescita, difendere i confini, rispettare i sentimenti nazionalisti”, ma tale scenario sembra “improbabile”. Qualcuno in America si rallegra per il declino europeo, ma è “un errore”, conclude WRM. “Un’Europa forte, anche se a volte litigiosa e discordante, è meglio per gli Stati Uniti di un’Europa debole che non può né difendere i suoi vicini né contribuire alla stabilità globale. Ma gli Stati Uniti devono avere a che fare con l’Europa che abbiamo, e l’Europa che abbiamo non sta bene”.

(estratto di un articolo pubblicato su Atlantico Quotidiano; qui la versione integrale)

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