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Cari amici intellettuali, perché avete divorziato dalla realtà?

“Ocone’s corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e autore del recente saggio “La cultura liberale – Breviario per il nuovo secolo”

Con l’Amleto di Shakespeare anche noi possiamo dire che il tempo è uscito fuori dai cardini. Nella settimana appena trascorsa abbiamo visto la più antica democrazia del mondo, la Gran Bretagna, esempio di stabilità istituzionale, nel più totale caos politico. E, nel nostro piccolo, in Italia, abbiamo continuato a vedere gli strani effetti che, sul governo e sulle opposizioni, continua ad avere la frammentazione politica, e direi delle coscienze che, in un paese già da sempre diviso, ci hanno consegnato gli ultimi anni. D’altronde, anche nella più potente democrazia del mondo, gli Stati Uniti, la presenza di Donald Trump al potere ha sovvertito regole e forme che pure consideravamo inscalfibili.

Se questo è lo stato del tempo, provo sempre grande meraviglia o stupore nel leggere le analisi di commentatori e analisti, spesso anche molto accreditati, che, come sempre vedono tutto chiaro ed hanno la ricetta pronta in tasca.

Lo schema, per costoro, è fin troppo evidente: da una parte ci sono i “populisti” e i “sovranisti”, così come li chiamano, e dall’altra le vecchie élites che a tortano chiamano “liberali” e che, aggiungono, ci hanno garantito anni di benessere, pace, libertà. Anche la ricetta, per i dotti analisti, è semplice: mettersi in un cantuccio, non recedere un minimo dalle idee e posizioni consolidate, e per il resto aspettare che passi la buriana. Cioè che il mondo, o il tempo, ritrovino da soli i cardini. Molto rassicurante, ma anche, a ben vedere, molto cieco. Che, nel passaggio dal vecchio al nuovo secolo, non solo la geografia politica del mondo, ma anche qualcosa di più profondo, forse addirittura nelle coscienze, sia cambiato, a me sembra evidente. Che il Novecento, secolo per molti aspetti da non rimpiangere, sia definitivamente finito, è chiaro da troppi elementi. Perché allora continuare a ragionare, anche da liberali (spesso tendenti al liberal), come se nulla fosse?

Lo so che il nuovo è sempre difficile da accettare, e ancor più da capire, ma possiamo sacrificare sull’altare della mal riposta indignazione le nostre vite e il nostro intelletto. Propongo allora di fare un salto indietro, per trovare una traccia per andare avanti. All’Ottocento. E ad Alexis de Tocqueville, per la precisione.

Un liberale classico il cui pensiero è intriso di senso storico e politico, proprio quei due elementi che a molti osservatori e scienziati sociali sembrano difettare. Tocqueville era un marchese, un aristocratico, un uomo fine e di vaste letture. Ed è con questo bagaglio umano che va in America e scopre la democrazia. Di primo acchito ne ha repulsione e resta stupito dai tanti “bovari”, così li chiama, che hanno voce in capitolo nei parlamenti e anche in posti chiave della società democratica americana. Non solo però il nostro marchese non si chiude a riccio, ma, spinto da curiosità, abbandona la sua noiosa indagine sulla situazione carceraria americana (era il motivo per cui era partito) e va nelle piazze, nei circoli, nelle case, a studiare fin nei minimi particolari quella società che lì aveva messo i piedi. Capisce che la società democratica è un fatto contro cui non è lecito inveire, che essa sarà il futuro anche per l’Europa.

Repulsione e attrazione, odio e amore, questo è il suo sentimento verso la democrazia. La quale come tutte le situazioni umane va accettata, compresa, capita per vederne gli aspetti positivi e scinderli da quelli, con cui si lega in modo iscindibile, che sono ad essi opposti. Per uno come Tocqueville, che aveva un senso profondo per la libertà umana, la democrazia aveva per essa rischi e opportunità. E il liberale avrebbe dovuto lavorare per favorire le seconde e limitare gli effetti nefasti delle prime (il conformismo, il “dispotismo della maggioranza, il paternalismo soft, ecc. ecc. ). Ecco, a mio avviso, è questo l’atteggiamento che oggi difetta presso l’intellettuale medio occidentale, plasmato ahimé da anni di asservimento della cultura all’ideologia del “politicamente corretto”. Con i suoi sterotipi, frasi fatte, totem e tabù, con l’incapacità di cambiare le lenti con cui (non) vede (più) la realtà. Più che il divorzio fra élites e popolo, a me sembra di vedere in opera quello fra pensiero e realtà. Con l’aggravante che, senza un pensiero all’altezza, la realtà se ne va comunque per conto proprio. E senza chiedere il permesso al pensiero.

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