In una edizione speciale degli “scherzi a parte” televisivi evocati dal berlusconissimo Antonio Taiani, e ospitata ieri su Rai 3 da Lucia Annunziata all’ora di pranzo, o poco più, Carlo Calenda ha dunque abbandonato Enrico Letta scoprendolo, o riscoprendolo, troppo a sinistra. E lasciandolo praticamente senza portiere o primo attaccante, come preferite, nella partita elettorale contro il centrodestra. Dove in effetti hanno esultato, ma forse con troppa fretta perché fra le macerie, rovine e quant’altro del campo allestito dal segretario del Pd potrebbe formarsi, nei pochi giorni che separano i partiti dalla presentazione dei simboli e poi delle liste, quel “terzo polo” di centro che Alessandro Sallusti su Libero ha cercato di esorcizzare scrivendo che “non esiste”.
Esso potrebbe invece concretizzarsi con una convergenza in extremis fra lo stesso Carlo Calenda, Matteo Renzi, l’ex sindaco di Parma Federico Pizzarotti, altre vittime più o meno “civiche” del grillismo e cespugli vari. Che non sono certamente favoriti dalla legge elettorale in vigore, specie nella parte predominante dei collegi uninominali, in cui i partiti maggiori sono avvantaggiati, ma possono ugualmente creare problemi al centrodestra. Dove ormai troneggia una Giorgia Meloni appena elogiata da Silvio Berlusconi in persona per un “coraggio” pari al suo, ha detto l’ex presidente del Consiglio procurando forse il primo dispiacere da un bel po’ di tempo a questa parte a Matteo Salvini. Di cui sono calati i voti ma non le ambizioni, favorite così tanto e così a lungo dallo stesso Berlusconi da provocare le recentissime uscite da Forza Italia, fra gli altri, dei tre ministri che l’hanno rappresentata nel governo di Mario Draghi. Sono, in ordine rigorosamente alfabetico, Renato Brunetta, Mara Carfagna e Mariastella Gelmini.
Per definire o solo rappresentare l’iniziativa a sorpresa di Calenda contro il “povero scendiletta” deriso sulla Verità da Maurizio Belpietro, che ha contestato al segretario del Pd troppe concessioni allo stesso Calenda, e non solo ai rossoverdi, è stato evocato da Repubblica e da altri giornali “lo strappo” di ben altra memoria e sostanza. Che negli anni Settanta del secolo scorso non fu neppure unico, ma una serie di strappi consumati dal Pci di Enrico Berlinguer nei rapporti tradizionalmente subalterni con la Mosca sovietica: prima l’apprezzamento della libertà “indivisibile”, poi il riconoscimento della natura protettiva della Nato anche per l’”eurocomunismo”, infine il famoso “esaurimento della capacità propulsiva” della rivoluzione comunista annunciato in televisione a commento del regime militare imposto da Mosca ad una Polonia ribelle, incoraggiata nemmeno dietro le quinte da Papa Wojtyla, Giovanni Paolo II all’anagrafe pontificia.
Mi sembra francamente un pò eccessivo il paragone fra strappi così diversi, ma l’enfasi è facile nel giornalismo politico, come dimostra anche quel “Calenda pagliaccio”, in rosso, stampato da Libero solo per mettere nella peggiore luce possibile un attore politico inviso al centrodestra in questa breve e torrida campagna elettorale. Che è stata imposta per la prima volta in estate dall’ormai irreparabile dissolvimento di una legislatura ruotata attorno al primato perduto da quella bolla che si è rivelata il MoVimento 5 Stelle. Esso potrebbe rischiare di tornare nelle nuove e ridotte Camere con meno parlamentari ancora di Calenda e dintorni.