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Dopo Damasco si sbriciolerà anche Teheran?

Il fattore decisivo dell'uscita di scena di Assad è stata la crisi politico-militare dell'Iran dopo la sconfitta quasi totale di Hamas e il ridimensionamento di Hezbollah. L'analisi di Lodovico Festa

Sono sorprendenti la velocità e la facilità con cui un gruppo di ribelli ex Isis ha liquidato una dittatura degli Assad iniziata nel 1971 e durata dunque be 53 anni. Fattore decisivo di questa “velocità” è stata la crisi verticale politico-militare dell’Iran, che con gli Hezbollah e i rifornimenti via Iraq, costituiva il vero sostegno del potere di Bashar al Assad, ben più importante di quello dei russi, quest’ultimo comunque depotenziato dalla guerra in Ucraina.

Spesso troppo attenti alla cronaca colorata dei fatti invece che all’analisi, si è sottovaluto che cosa abbia significato per Teheran la sconfitta quasi totale di Hamas, il duro ridimensionamento degli Hezbollah, e non si è riflettuto adeguatamente sulla prova che l’aviazione israeliana ha dato (cento apparecchi, nessuno abbattuto) di dominare i cieli di Teheran e paraggi: una dimostrazione che ha gettato nel panico gli ayatollah e i loro alleati, a partire dalle milizie filoiraniane irakene che, pur sollecitate, non si sono mosse in soccorso del regime siriano.

E adesso che cosa accadrà? Non è irragionevole essere preoccupati di un regime di ex Isis insediato a Damasco. Però per inquadrare la situazione attuale non vanno sottovalutati alcuni altri fattori: c’è innanzi tutto il peso che Ankara gioca nella partita. E con tutte le sue spregiudicatezze Recep Erdogan resta pur sempre nella Nato e sebbene si muova su tutti i fronti (è entrato anche nei Brics) alla fine le sue velleità di restaurazione di un’egemonia ottomana sul mondo islamico si intrecciano a precisi interessi economici (a partire dai gasdotti). E queste implicazioni “economiche” ne condizionano i comportamenti.

Altro elemento da tener ben presente sarà quello delle reazioni di sauditi preoccupati dall’attivismo turco nel mondo musulmano e dal disordine che questo provoca. Con Teheran, Riyad aveva trovato (soprattutto dopo le batoste inferte da Israele al regime degli ayatollah) una qualche intesa per cercare di convivere senza troppi conflitti, adesso dovrà rimettere in moto la sua iniziativa diplomatica di fronte ai neo rischi neo ottomani. Infine va considerato quel che succederà in un Iran sempre più umiliato.

Due piccoli avvenimenti ci possono aiutare a capire quel che potrebbe avvenire. Il premio Nobel per la Pace, Narges Mohammadi, attivista per i diritti umani incarcerata nel 2016, è stata rilasciata per tre settimane dalla galera per motivi medici. Ahu Daryaei, giovane studentessa,  arrestata nei giorni scorsi per aver camminato in biancheria intima all’interno dell’Università Islamica Azad protestando contro soprusi che le Guardie rivoluzionarie avevano commesso contro di lei, è stata rimandata in famiglia per curarsi.

È evidente come solo qualche tempo fa la Mohammadi sarebbe stata lasciata morire nella sua cella e la Daryaei fustigata su una pubblica piazza. Questi piccoli ma significativi avvenimenti ci parlano del panico diffuso in un regime che da 45 anni opprime il popolo iraniano. Oggi a Damasco, domani a Teheran?

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