Budapest, Napoli del Centro Europa.
No, non mi sto riferendo a episodi che ricordano scene da “Pacco, doppio pacco e contropaccotto”, memorabile film di Nanni Loy. Accadono, e neppure troppo raramente. Attenzione soprattutto a non fermare taxi per strada, chiamateli sempre per telefono. Al momento di pagare la corsa fate attenzione: 38.000 fiorini equivalgono più o meno a 100 euro, non ne dovete di più, anche se vi dicono che 100 euro non bastano. Ma la simmetria con Napoli riguarda piuttosto altro.
Budapest, e soprattutto Pest, è monumentale, ha i segni di una grande capitale, come Napoli. E, come a Napoli, se guardate dentro certi cortili di palazzi bellissimi, a meno che non siano restaurati, scoprirete il degrado di androni e scaloni monumentali illuminati con fioche lampadine, muri scrostati dal tempo e dall’umidità. Facciate monumentali che sono foglia di fico di interni degradati, dove non si fa seriamente manutenzione dai tempi della Reggenza. Scaloni splendidi con al centro ascensori che non funzionano dai tempi della seconda guerra mondiale. Oppure superstiti ascensori dei bei tempi, in legno di mogano, con strapuntino rivestito di cuoio, ma con il mogano che si distacca dalle pareti della cabina e il cuoio consumato. Condomini che sono piccoli gioielli ma che gli inquilini, spesso di età avanzata e pertanto con a disposizione solo una pensione che a mala pena consente per un mese l’alimentazione, non possono permettersi di mantenere adeguatamente.
Le grandi immobiliari internazionali hanno capito che possono comprare questi complessi con poco per restaurarli e valorizzarli, o addirittura per abbatterli e sostituirli con condomini moderni e eleganti. E così Pest, a poco a poco ma a ritmi crescenti, si gentrifica: anziani al limite dell’indigenza lasciano il posto prima a studenti, artisti, professionisti, poi questi ultimi a loro volta lo lasciano agli strati più affluenti della società. Aggiungo un piccolo particolare emblematico della gentrificazione di Pest, derivante dalla mia diretta esperienza. A cinquanta metri da dove un tempo abitavo c’era una specie di macelleria dove fino a notte servivano su vassoi di cartone salsicce di fegato. Al suo posto oggi c’è lo sportello di una banca. E, di fianco, un lounge bar. La macelleria era frequentata soprattutto da operai alquanto pingui, addetti alla manutenzione delle linee del tram, il lounge bar ora lo è da eleganti signore in cerca di avventure e da expat di vario genere.
BUDAPEST VALLEY
Budapest valley.
Budapest è al centro geografico dell’Europa, crocevia fra il mondo latino, quello germanico e quello slavo e per questo può giocare il ruolo di mediatore super partes. Non mi riferisco al ruolo della politica, qui oramai molto ripiegata solo su vicende e affari nazionali, senza ambizioni internazionali sostenibili, ma a un’economia globalizzata che sta emergendo anche a dispetto della politica, forte della capacità attrattiva della città.
Oramai il 78% del reddito prodotto deriva da un composito terziario, dove però è il terziario a servizio di aree vaste che avanza, non quello ripiegato sulla dimensione locale o nazionale. La città ha risposto mettendo a disposizione spazi adeguati, e su questo punto la destra oramai al potere nazionale da oltre un decennio (ma non a livello locale) non ha rinnegato le principali scelte urbanistiche dallo sguardo lungo dell’epoca liberal. Budapest è in corsa per divenire il centro direzionale dell’Europa centrale, la sfida è a Vienna anche se la stessa sfida sta provando a lanciarla qualche centinaio di chilometri più a sud Belgrado. Ma di Belgrado parleremo in un altro articolo. Come che sia, intorno alle otto e mezza del mattino sui tram o nella metro troverete tanti ragazzi che vanno al lavoro negli uffici delle multinazionali della consulenza. Sono pagati poco in rapporto agli standard dell’Europa occidentale, l’equivalente di 900-1.000 euro al mese, ma hanno prospettive di carriera, e se vi capita di contrastarli state attenti, ne sanno una più del diavolo.
LA GERUSALEMME DEL CENTRO EUROPA
Budapest, Gerusalemme del Centro Europa.
La duplice monarchia aveva tenuto in gran conto gli ebrei, finendo con l’assicurare loro gli stessi diritti e doveri di tutti gli altri. Fino alla seconda guerra mondiale gli ebrei a Budapest contavano per il 7% della popolazione, occupando posizioni di primo piano soprattutto nelle professioni intellettuali (architetti, medici, farmacisti, avvocati). La Reggenza, ancorché allineata con le potenze dell’Asse, non li aveva seriamente emarginati nè tanto meno seriamente colpiti, tant’è che la comunità ebraica di Budapest restava fra le più grandi d’Europa, sia in termini quantitativi sia da un punto di vista qualitativo.
Il colpo di Stato che cacciò l’ultraconservatore Ammiraglio Horthy per sostituirlo con gentaglia proveniente dalle file del locale nazismo mise l’Ungheria nelle mani di aguzzini antisemiti, ma una straordinaria mobilitazione di diplomatici e para-diplomatici stranieri salvò in parte l’ebraismo e gli ebrei. Il risultato consiste nel fatto che oggi Budapest, al contrario di tante altre capitali dell’Europa centrale, continua ad essere una città dove la presenza ebraica è tutt’altro che marginale. Resta la Sinagoga grande, la più grande del mondo dopo quella di New York. Restano anche le sinagoghe “ortodosse”, i ristoranti kosher, gente che gira per le strade del VII distretto esibendo con tanti segni l’orgoglio di essere ebrei. E le file in aeroporto, in attesa di volare a Tel Aviv per ritrovare parenti che non sono più in Ungheria.
Dell’infelicità magiara. Essere ungheresi è difficile. Essere riusciti a continuare ad essere magiari a dispetto delle vicende della storia è quasi eroico. L’Ungheria appare oggi come un’isola, dove una popolazione che gli studiosi definiscono “ugro-finnica”, a sua volta appartenente alla più larga famiglia “uralo-altaica”, vive circondata da germanici, latini e slavi. Essere magiari, anche a Budapest, può essere fonte di problemi esistenziali. L’infelicità è il maggiore di questi. I bambini magiari chiedono talvolta al maestro “perché siamo sempre stati puniti?” Il maestro risponde con un “perché siamo stati sempre schierati dalla parte sbagliata”.
ESSERE MAGIARI OGGI
Ma questa risposta non basta a lenire la piaga, anzi la acuisce. Essere magiari oggi significa fare i conti con quella che a me sembra la grande scelta nazionale: accettare di essere quello che si è, non pretendere di essere quello che ti è stato imposto di essere. Perché “dover essere” quando basterebbe ”essere”? L’anima magiara è anima libera, ma non accetta facilmente di riconoscerlo, vuole essere quello che non è. Ha il cuore aperto e invece le hanno detto che il cuore lo si deve chiudere: vorrebbe riempire di baci la persona che ama ma non lo fa perché le è stato insegnato che quel comportamento non sarebbe “perbene”. Questo accade anche in quanti non sono Református, calvinisti, come si dice fuori dall’Ungheria. Riconciliate istinti con la fede e la fede con la ragione, se ci riuscite. Una serata a contemplare i monumenti di Buda dal lato di Pest o una a contemplare il Parlamento che è a Pest dal lato di Buda potrebbe aiutare. Prima che spengano le luci che illuminano i monumenti. Così mi regolavo quando ero triste, a Budapest.