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Brics

Vi spiego il bluff dei Brics

I Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) vengono spesso descritti come un blocco compatto e anti-occidentale, ma non è così. L'analisi di Riccardo Pennisi, analista geopolitico e collaboratore di Aspenia, tratta dal suo profilo LinkedIn.

Si parla molto di BRICS, ma a sproposito. Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica hanno non solo interessi, ma anche riferimenti economici e geopolitici molto diversi tra loro. Inoltre, le loro traiettorie economiche sono piuttosto divergenti, per non parlare dei rispettivi retroterra sociali e culturali.

I BRICS NON SONO UN GRUPPO UNITO

L’idea di una loro valuta comune è semplicemente irreale. È naturale che il peso economico di questi Stati sia in crescita, se visti tutti assieme: India e Cina totalizzano quasi 3 miliardi di abitanti. Contro i 330 milioni degli Stati Uniti e i 450 dell’Unione Europea.

Il punto, però, è proprio errato in partenza: non vanno visti tutti assieme. Se c’è una convergenza politica, in questo gruppo, è tra Russia e Cina (col supporto di un Sudafrica sempre meno rilevante nel suo stesso continente): ma un’alleanza sempre più imbarazzante per Pechino, visto l’andamento del conflitto e dell’economia russa, entrambi disastrosi per Mosca.

LA CRISI DELLA CINA: DISOCCUPAZIONE, DEFLAZIONE, CAOS IMMOBILIARE

La Cina, dal canto suo, ha problemi economici crescenti, nascosti per molti anni sotto al tappeto, perché i cinesi e il resto del mondo non sapessero, ma ormai ineludibili. Eccone alcuni.

1) Disoccupazione. Il mercato del lavoro cinese è in crisi da prima della pandemia, per la guerra commerciale con gli Stati Uniti, la diminuzione dei flussi internazionali, e la delocalizzazione di molte fabbriche in altri Paesi del Sud-Est asiatico per eludere i dazi. Con la fine del Covid, la tendenza si è confermata: ieri l’ufficio nazionale statistico ha annunciato che smetterà di comunicare il tasso di disoccupazione giovanile: “in tempi di crisi, le brutte notizie non aiutano”, hanno ammesso. In giugno, si era toccato il record del 21,3%.

2) Deflazione. Se tutto il mondo si preoccupa dell’inflazione, in Cina i prezzi scendono, a causa della perdita del potere d’acquisto della classe media e del suo indebitamento. La ripresa della produzione industriale dopo la fine della politica zero-Covid è più debole del previsto. Le esportazioni, motore economico del Paese, sono diminuite del 14,5% in luglio. Il settore immobiliare, dove la maggior parte dei cinesi mette i suoi risparmi, è bloccato da tempo in una spirale negativa. Perfino Tesla, oggi, ha deciso di abbassare (è la terza volta) i prezzi delle sue auto.

3) Crisi immobiliare e debito. Proprio come è successo negli USA nel 2008, con conseguenze devastanti per il resto del mondo, l’economia cinese potrebbe essere messa in panne dallo scoppio di una bolla immobiliare. In Cina si è costruito troppo, nessuno compra perché la classe media non vuole più investire o è insolvente, e così anche i costruttori diventano insolventi – e continuano a fallire, alimentando un flusso di licenziamenti, sfiducia, risparmio. Il pericolo è che siano seguiti dalle banche, o dalle amministrazioni pubbliche locali che li hanno pesantemente sovvenzionati.

I mercati si aspettano ora da Pechino interventi molto decisi e sostanziosi.

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