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Banchieri Brexit

Brexit: i punti dell’accordo, i costi e le divisioni a Londra (e fra Stati europei)

Il Punto di Daniele Meloni dopo l'accordo sulla Brexit fra May e Barnier

Domenica a Bruxelles Theresa May e il capo dei negoziatori dell’Unione, Michel Barnier, hanno raggiunto il tanto atteso accordo sulla Brexit, che prevede un onnicomprensivo Withdrawal Bill, contenente le modalità di uscita del Regno Unito dall’Unione, e una Political Declaration, che stabilirà la futura relazione tra lo UK e i 27. Eppure, la strada sembra ancora lunga.

CHE COSA PREVEDE L’ACCORDO SULLA BREXIT E LA PAROLA CHIAVE “TRANSIZIONE”

La parola-chiave dell’accordo è “transizione”. Dall’uscita dello UK, che avrà luogo il 31 marzo 2019, alla fine del 2020, ci sarà un periodo di transizione per implementare la Brexit, durante il quale tutti i cittadini europei potranno andare a vivere, lavorare e studiare in Gran Bretagna esattamente come accade oggi. Il conto per il divorzio da Bruxelles costerà al Regno Unito 40 miliardi di sterline (la Ue ne chiedeva 60). Su Unione doganale, Mercato unico e confine nordirlandese siamo ancora lontani da una soluzione. Molto dipenderà da quanto succederà nei prossimi mesi.

BACK ME OR SACK ME

Forte di questo accordo, Theresa May sta lanciando la sua campagna di PR: ha scritto a tutti i cittadini britannici e sta coinvolgendo il mondo del business facendo capire che non ci sono reali alternative al deal. Gli obiettivi sono 2: minimizzare i disagi legati all’implementazione della Brexit, e far sì che la pressione dell’opinione pubblica convinca i brexiteers duri e puri e gli eurofili nel suo partito a votare in suo favore. Per gli uni, l’accordo è troppo vago e prevede, anche in futuro, una relazione troppo stretta con l’Europa. Sono schierati su questa posizione Boris Johnson, Dominic Raab e David Davis, oltre a Jacob Rees-Mogg, che ha già annunciato la mozione di sfiducia alla sua leader. Tra coloro che non vedono vantaggi dall’uscita dall’Ue ci sono invece Justine Greening, Dominic Grieve e Jo Johnson, oltre ai grandees del partito, Kenneth Clarke e Michael Heseltine. Alla May servono 318 voti ai Comuni. Al momento non ci sono.

BACK TO THE FUTURE

Cosa succederà da qui in avanti? Ai primi di dicembre il governo presenterà un libro bianco sull’immigrazione, il cui scopo è mettere nero su bianco che la libera circolazione delle persone, pilastro dell’Ue post-Maastricht, finirà. Poi si andrà alla conta alla Camera dei Comuni. In caso di voto favorevole, tutto proseguirà come vorrà May. In caso di bocciatura, sono possibili le sue dimissioni, nuove elezioni, un eventuale secondo referendum sull’accordo o, meno probabile ma comunque possibile, sulla questione originaria, e infine addirittura che May resti in sella e opti per un altro tipo di accordo. Peraltro, sulla stampa si ritorna a parlare di “modello norvegese” per il futuro dei rapporti tra UK e UE.

L’EUROPA E’ UNITA?

L’Europa è andata in ordine sparso. Il premier spagnolo Sanchez ha minacciato di votare no al Brexit Deal prima di ottenere rassicurazioni sulla presenza della Spagna in qualsiasi accordo futuro su Gibilterra. Macron ha già paventato una special relationship tra Francia e Regno Unito in futuro ma vuole garanzie – leggasi: accordi separati – che tutelino i pescatori francesi nelle acque britanniche. Irlanda e Olanda hanno espresso preoccupazioni sul fatto che un eventuale rilassamento delle regole in ambito ambientale possa avvantaggiare a livello competitivo le imprese UK una volta uscite dall’Europa.

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