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Bonafede, chi vincerà e chi perderà fra Conte e Renzi

Come saranno i rapporti fra Conte e Renzi dopo la mancata sfiducia del ministro Bonafede della renziana Italia Viva

Peserà molto su Matteo Renzi, si vedrà se a torto o a ragione, l’accusa procuratasi al Senato dalla pur soccombente opposizione di centrodestra – ma anche da quella di Emma Bonino, per quanto personalmente apprezzata dall’ex presidente del Consiglio nel suo intervento – di avere inseguito “più poltrone che voti” nella gestione della partita del guardasigilli grillino Alfonso Bonafede. Che Renzi ha contribuito a salvare dalla sfiducia “individuale” non per averne apprezzato il discorso di difesa e replica in aula, che pure si era riservato di valutare, ma semplicemente e dichiaratamente per riguardo “politico” verso il capo del governo presente in mascherina ai banchi dell’esecutivo. Di cui egli ha ricordato la sostanziale minaccia delle dimissioni, e di una conseguente apertura di crisi, in caso di bocciatura del ministro della Giustizia e capo della delegazione grillina al governo.

Non risulta, francamente, che Conte avesse mai mostrato segni di cedimento o di indifferenza verso il suo amico guardasigilli dall’esplosione del caso, in particolare dopo lo scontro televisivo a distanza fra il consigliere superiore della magistratura Nino Di Matteo, mancato capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria due anni fa, e Bonafede.

Renzi conosceva insomma quale fosse la posta in gioco sin dall’inizio della partita e non è mai apparso davvero tentato dall’idea di mettere alla prova la determinazione del presidente del Consiglio puntando, per esempio, sulla carta del Quirinale. Dove il presidente della Repubblica, in presenza di una crisi sullo sfondo addirittura di un ricorso anticipato alle urne, da lui stesso messo nel conto nelle scorse settimane con informazioni giornalistiche di senso univoco, avrebbe ben potuto rinviare il governo dimissionario alle Camere. E ciò per verificare se davvero con la sfiducia “individuale” a un ministro, pur importante come quello della Giustizia, dovesse e potesse ritenersi esaurita la legislatura. “In questo Parlamento la maggioranza si forma in un quarto d’ora”, ha dichiarato proprio Renzi in una intervista a Repubblica dopo la seduta al Senato parlando di una eventuale crisi.

Forte pertanto è rimasto il sospetto che la partita appena conclusa senza danni sul guardasigilli sia servita al senatore toscano come occasione per instaurare una nuova e meno conflittuale fase di rapporti col presidente del Consiglio. Cui non a caso l’ex segretario del Pd ha riconosciuto segnali di novità o di apertura lanciati in questi ultimi giorni nei riguardi della sua parte politica su vari problemi, esterni e interni all’emergenza da virus, trattati con emissari qualificati.

Lo stesso Renzi, d’altronde, ha mostrato di essere ben consapevole delle interpretazioni non esaltanti alle quali si è prestata la sua tattica politica, a mezza strada fra l’acrobata e il corsaro, o fra “il solito bluff” contestatogli dal Fatto Quotidiano e “i belati del lupo” derisi da Libero. Egli ha definito il proprio discorso fra i più difficili, se non il più difficile, della sua ormai non breve carriera politica. Ora egli è ancora più esposto di prima agli sberleffi, specie se dovesse davvero incassare qualche nuova postazione di potere.

Ha tuttavia problemi anche Conte, cui così vistosamente e astutamente l’ex presidente del Consiglio si è in qualche modo aggrappato. Anche lui deve pagare pegno, a questo punto, alla richiesta esplicita del Pd, formulata da Franco Mirabelli e dal capogruppo Andrea Marcucci, di una “discontinuità” nella gestione della controversa e non proprio lineare politica del governo sulla giustizia in Italia.

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