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Le news su Biden, Trump, Mentana, Dagospia, Giorgino e non solo

Che cosa si dice e che cosa non si dice su Biden, Trump, Biden, Mentana, Dagospia, Giorgino e non solo. Pillole di rassegna stampa

 

IL MISTERO DAGOSPIA…

 

IL CANGIANTE CANGINI

 

TRUMPATE E CONTRO TRUMPATE

 

COSA SUCCEDE A X

 

LE TRUMPATE DI BIDEN ANTI UE

 

CARTOLINE DALL’EUROPA

 

 

A BURBERRY NON VA PIU’ DI LUSSO

 

LA SAMBA DI TIM

 

LE POLIZZE SFRECCERANNO SUI MONOPATTINI

 

LE ESTETIZZANTI PROPOSTE INDECENTI

 

IL MARKETING DI GIORGINO

 

GIORNALISMI

 

 

 

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ESTRATTO DI UN’ANALISI DI ADRIANA CERRETELLI PUBBLICATA SUL SOLE 24 ORE:

Trump redivivo si vuole più che mai presidente di rottura ma con convinzioni più forti e articolate, un progetto chiaro, mezzi e uomini per realizzarlo. Grazie a una vittoria elettorale netta che gli ha dato anche il controllo di Congresso e Corte Suprema, i gangli del potere federale.

E poi America First, la dottrina fatta di protezionismo e unilateralismo ora affidata a un pugno di fedelissimi “falchi”, scelti più per lealtà che competenza, nei posti strategici dell’Amministrazione per eseguire le direttive del capo.

Fine della cultura politica bipartisan, dunque, e forse anche del principio dei checks and balances, della divisione dei poteri, da sempre punto di forza della democrazia Usa.

Quattro anni dopo, invece, l’Europa appare più debole che mai. La guerra ucraina ai confini, l’imperialismo di Putin affamato di rivincite territoriali anche in Georgia e Moldavia, la fine dell’America filoatlantica di Biden e il bis di quella introversa, isolazionista e anti-Nato di Trump.

Governi barcollanti in Francia e Germania, in balìa di estremismi di destra e di sinistra. Istituzioni comuni, Commissione e europarlamento, paralizzate dall’erosione dei vecchi equilibri centristi scossi dall’avanzata delle destre più o meno dovunque. In breve, Europa divisa, politicamente a rischio acefalia a Bruxelles, di fronte al ciclone in arrivo.

Un’economia in perdita di competitività e di ricchezza pro-capite, provata dall’alt al petrolio russo a basso costo, dal doppiogiochismo cinese, dalle caduche certezze sullo scudo americano nella Nato. Dalla crisi tedesca e da quella di tutta la sua industria taglieggiata dall’iper-regolamentazione Ue e dalle sbandate ideologiche del Green Deal. In marcia verso uno sviluppo più verde, digitale, high tech e militare per ora senza i mega-investimenti necessari.

Se non si deciderà ad agire e presto, a questa Europa dall’alta tassazione, regole eccessive e burocrazia soffocante, prezzi dell’energia che sono il quintuplo di quelli Usa, a questa Europa che dopo Covid e guerra ucraina ha aumentato la dipendenza farmaceutica, energetica, tecnologica, finanziaria e militare dagli Stati Uniti, l’arrivo di Trump rischia di dare la mazzata finale. O, al contrario, il colpo di reni insperato.

A farla tremare prima di tutto le sue ricette per il rilancio dell’economia: nuovi tagli della pressione fiscale, con corporate tax al 15%, assalto al Big Government per convertirlo all’efficienza sotto la guida di Elon Musk, fracking a mano libera nel settore energetico, stop alla net-zero economy di Biden.

Dazi generalizzati del 10-20% ma per la Cina al 60. Per l’Unione sarà crollo del 25% dell’export negli Usa e dell’attivo commerciale da 157 miliardi di dollari nel 2023, con l’aggravante che le tariffe Usa sulla Cina ne dirotteranno prodotti e surplus sul mercato Ue.

Il tutto mentre all’Europa si chiederà non solo un maggiore impegno sulla difesa, 3% del Pil non più 2, ma un più alto contributo agli aiuti all’Ucraina in caso di disimpegno di Trump ed eventuali accordi di pace con la Russia privi di solide garanzie di sicurezza per Kiev.

Sono comunque le crescenti asimmetrie economiche e industriali tra Europa e Stati Uniti il pericolo maggiore in agguato.

Già l’IRA, l’Inflation Reduction Act, di Biden ha scatenato la fuga dall’Unione di un buon numero di imprese, start-up e talenti attirati da aiuti facili e meno regole per fare business. E già oggi 300 miliardi all’anno dei risparmi Ue prendono la strada degli Usa. Figuriamoci l’emorragia di delocalizzazioni se Trump attuerà la sua controrivoluzione a colpi di imposte al ribasso e massicce deregulation anche per i monopoli Big Tech.

Per l’industria europea che non riesce a creare propri campioni per i rigori dell’Antitrust Ue e che oggi paga care, auto ma non solo, le regole del green deal, punitive per sé ma non per i concorrenti extra-Ue, diventerebbe un richiamo irresistibile. Altro che recupero di competitività. A meno che le frustate di Trump non costringano l’Unione a una rapida correzione di rotta.

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