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Goffredo Bettini e l’intelligenza artificiale applicata ai referendum

Cosa dicono e cosa non dicono Schlein e Bettini sui risultati del referendum. I Graffi di Damato.

Spalleggiata dall’ormai solito Goffredo Bettini, che ha definito “neppure tanto intelligenti”, cioè stupidi, quanti hanno visto una sconfitta della sinistra promotrice nel naufragio referendario su lavoro e cittadinanza per mancanza di quorum, al quale sono mancati una ventina di punti sui 50 necessari, la segretaria del Pd Elly Schlein ha festeggiato lo stesso. E con l’aiuto di altri ha disinvoltamente mescolato pere mele, direbbero al mercato, per annunciare addirittura l’ennesimo decollo della famosa, tenacemente perseguita alternativa al centrodestra. La temeraria non sarebbe lei a cantare vittoria ma la premier Giorgia Meloni a rivendicarla non accorgendosi che i 12 milioni di voti guadagnati dal centrodestra nelle elezioni politiche del 2022 sono inferiori ai 14 milioni di partecipanti ai cinque referendum ancora freschi di risultati. Cioè, di fallimento.

Pere e mele, dicevo. Le pere dei voti presi concretamente dalla Meloni quasi tre anni fa andando a Palazzo Chigi. Le mele dei voti virtuali contro la premier che la segretaria del Pd ha attribuito ai partecipanti ai referendum, insufficienti a convalidare i risultati. Se questa è intelligenza, come sostiene Bettini, vuol dire che anch’essa, come ormai l’istituto stesso del referendum abrogativo, soffre di scompenso. Grave scompenso.

La stessa Schlein, d’altronde, nonostante la soddisfazione ostentata come l’intelligenza di Bettini, dovrà fare i conti nel suo partito con quanti reclamano il dibattito mancato prima di liquidare come “un errore”, fra i tanti, il jobs act adottato da Matteo Renzi negli anni di presidente del Consiglio e segretario del partito, insieme. E sopravvissuto al referendum che lo doveva abolire o modificare tagliandone una parte.

Il segretario della Cgil Maurizio Landini, appresso al quale si sono mossi la Schlein, Giuseppe Conte e gli altri aspiranti all’alternativa di governo, ha già detto che rimarrà tranquillamente al suo posto rispondendo a chi gli chiedeva se non sentisse il dovere di dimettersi. Il Pd è, o dovrebbe essere, qualcosa di diverso dalla Cgil. Avremo tutti l’occasione di verificarlo, a dir poco.

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