Per le circostanze internazionali e interne – cioè elettorali, ad urne ancora aperte per le regionali in Lombardia e Lazio – nelle quali ha deciso di ribadire a voce ancora più alta e chiara del solito le sue critiche a Zelensky e a chi, come anche Giorgia Meloni, fa a gara in Europa a incontrarlo per sostenerne la resistenza all’aggressione russa, questa volta Silvio Berlusconi l’ha fatta più grossa del solito: tanto che è obiettivamente difficile, anzi impossibile coprirla. Così si dice in Toscana, con un’espressione usata nel 1960 da Amintore Fanfani, all’epoca del governo Tambroni.
COSA HANNO SCRITTO I GIORNALI SU BERLUSCONI, “VECCHIO PUTINIERE”
Gli sfortunati colleghi del Giornale ancora di famiglia dell’ex presidente del Consiglio hanno cercato di metterci una pezza trasformando l’attacco, la bomba, il siluro del capo forzista, secondo i titoli scelti dai vari quotidiani, in un rilancio della proposta di “ricostruire l’Ucraina” con una riedizione del vecchio piano Marshall per l’Europa dopo la seconda guerra mondiale. E per assicurare che, per quanto critico con Zelensky, egli “non sta con Putin”. Del quale è invece immaginare la soddisfazione nel leggere o ascoltare al Cremlino i dispacci dall’Italia.
Il Berlusconi “vecchio putiniere”, come ha voluto sfotterlo Ellekappa sulla prima pagina di Repubblica, ha procurato “disagio e dispiacere”, come ha titolato il Corriere della Sera scrivendo di Palazzo Chigi. La cui inquilina solo qualche giorno fa a Bruxelles, rispondendo ai giornalisti che tentavano di stanarla sui rapporti col Cavaliere, lo aveva definito con involontario umorismo, visto ciò che l’attendeva al suo ritorno a Roma, “il migliore ministro degli Esteri d’Italia”, solo per caso, diciamo così, o giusto per non affaticarlo più di tanto, rappresentato alla Farnesina dal suo vice politico Antonio Tajani. Del quale pure si può comprendere e immaginare l’imbarazzo nell’apprendere che cosa avesse appena detto il suo capo uscendo dal seggio elettorale dove aveva votato non si sa per la conferma del leghista Attilio Fontana al vertice della Lombardia o per Letizia Moratti. Nei cui riguardi Repubblica, pur smentita, ha più volte attribuito nella scorsa settimana quanto meno la tentazione avuta dal Cavaliere di preferirla nella corsa al Pirellone.
Tutto ormai di, su e attorno a Berlusconi è un misto di cronaca, retroscena e leggenda. Il guaio è che non si riesce mai a vedere bene i confini fra le varie versioni o edizioni dell’ex presidente del Consiglio. Non vi riesce, temo, neppure una politica professionista e ormai salita al vertice del governo come Giorgia Meloni. Il cui “peccato”, per stare al titolo di oggi del Foglio, dove ancora Berlusconi è chiamato “l’amor nostro”, anche se Giuliano Ferrara ha dichiaratamente smesso di votarlo, è forse quello di essere salita, appunto, troppo in alto nel centrodestra, sino a rovesciarne il nome in destra-centro.