“Le ripugnanti fandonie dell’ex capo del centrodestra contro il presidente ucraino sono il finale tragico di una storia italiana, cui è arrivato il momento di mettere un punto. Un appello ai figli, agli amici e alle badanti del disorientato ex leader di Arcore”. Così Christian Rocca, direttore di Linkiesta che non tradisce mai una particolare propensione per l’understatement, a proposito delle ultime esternazioni di Silvio Berlusconi che ha addirittura appioppato a Zelensky la colpa della guerra tra Russia e Ucraina, che si sarebbe potuta evitare se solo il leader ucraino – così Berlusconi – non avesse ripetutamente attaccato il Donbass.
Anche un bambino capisce che senza l’esplicito avallo della Nato e di Washington Zelensky si sarebbe ben guardato dall’assumere qualsiasi iniziativa sicché la boutade del Cavaliere, sotto questo aspetto, è in palese malafede, diretta principalmente a colpire un nervo sensibile dei suoi avversari (magari anche a compiacere Putin, perché no).
Non mi pare, in ogni caso, che questa tempesta in un bicchiere d’acqua restituisca l’immagine di un Berlusconi rimbambito, come piacerebbe credere a molti. Al contrario, mi sembra che Berlusconi abbia ottenuto almeno due risultati. Innanzitutto, visibilità, grazie anche a una – inevitabile – nota di Palazzo Chigi e a una messe di altre dichiarazioni tra le quali merita una menzione quella di Carlo Calenda: “Pessimo. Ricomincia con i suoi vaneggiamenti putiniani” (Calenda, che sembra non aver ancora completato la propria formazione politica, incorre ogni tanto in eccessi di zelo). Secondo risultato, in questa gara a mostrarsi più realisti del re (cioè più americani di Biden) che non è solo italiana, basta pensare alla cena organizzata in fretta e furia da Emmanuel Macron durante il trionfale ultimo tour di Zelensky tra Londra Bruxelles e Parigi, il Cavaliere ha ricordato a tutti che la storia dell’invasione russa in Ucraina è più articolata di quanto un’informazione allineata e coperta come non mai deve dare per scontato. In fondo non è poi passato così tanto tempo da quando, a fine novembre dell’anno scorso, cioè due mesi e mezzo fa, Angela Merkel in due interviste, a Der Spiegel e a Die Zeit, dichiarava candidamente (si fa per dire) che gli accordi di Minsk erano stati sottoscritti dall’Occidente allo scopo di concedere all’Ucraina il tempo di riorganizzarsi in vista di futuri confronti (e non – conclusione implicita ma ineludibile – per favorire la negoziazione di un assetto pacifico nelle relazioni tra Federazione Russa, Ucraina e Nato).
Come ha ricordato pochi giorni fa Lucio Caracciolo su La Stampa, quando scoppia una guerra è automatico che l’informazione degeneri in propaganda (perché tutti, anche i giornalisti, tengono famiglia) e in Italia, dove per non pagare il dazio si è pronti a tutto, i grandi media e le grandi firme – per evitare lati un po’ più spinosi dell’argomento – si sono dedicati ultimamente alla beatificazione di Zelensky, tra l’altro protestando perché il messaggio del presidente ucraino al Festival di San Remo è stato letto dal presentatore Amadeus a tarda notte. E infilare uno spillone proprio sul nome di Zelensky può risultare fastidioso, sgradevole, intollerabile, ma non è detto che sia una prova di rimbambimento. Al contrario, potrebbe addirittura rivelarsi un sintomo di lungimiranza.