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Giorgetti

Vi racconto la nuova guerra (psichiatrica) contro Berlusconi

I Graffi di Damato.

Puntuale come un orologio o un treno svizzero, con l’orgoglioso e del tutto comprensibile rifiuto di Silvio Berlusconi di sottoporsi alla perizia psichiatrica disposta, su richiesta della Procura della Repubblica, dai giudici milanesi che lo stanno processando dal 2018 per induzione a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, ne è arrivata una lettura tutta politica da parte dei suoi incalliti avversari. Che si sono fatti forti, nella loro interpretazione retroscenistica, dell’insistenza con la quale – poco importa se per convinzione o solo per tattica – amici di partito e di coalizione di centrodestra ripropongono, in questa lunga vigilia delle elezioni presidenziali in Parlamento, la candidatura dell’ex presidente del Consiglio alla successione a Sergio Mattarella.

Secondo una lettura tutta politica della sua iniziativa Berlusconi si sarebbe mosso in difesa della propria onorabilità e “storia personale” di imprenditore e di politico, come lui stesso ha rivendicato, per non compromettere la propria candidatura al Quirinale. Alla quale quindi sarebbe davvero interessato, nonostante le obiettive difficoltà già sottolineate pubblicamente nel centrodestra da Giorgia Meloni, che pure lo voterebbe se davvero lui diventasse il candidato unico della coalizione pur divisa rispetto al governo Draghi.

Berlusconi, al quale recentemente ha rivolto parole di apprezzamento anche un avversario storico come Romano Prodi, che gli ha però indirettamente ricordato per esperienza politica personale quanto sia facile perdere la partita del Quirinale per i cosiddetti franchi tiratori, cioè per i tradimenti che si subiscono a scrutinio segreto ad opera dei parlamentari formalmente schierati a favore, non sarebbe trattenuto nei suoi propositi di candidato al Colle neppure dalla bella età che ha, a pochi giorni ormai dal compimento degli 85 anni, e dalla frequenza con la quale deve sottoporsi a controlli sanitari non necessariamente finalizzati alle sue passate richieste di rinvio delle udienze del processo per impedimento di salute. Cui possono aggiungersi di volta in volta impegni politici derivanti dalla presidenza di un partito ridotto nei numeri elettorali e parlamentari, rispetto ad un passato anche recente, ma pur sempre incisivo.

Mi permetto, naturalmente per quel che valgono la mia personale opinione e la conoscenza che ritengo di avere dell’uomo, col quale mi è capitato di lavorare nella mia lunga esperienza professionale, di dubitare di tutta questa ostinazione che gli viene attribuita, spesso ossessivamente, dagli avversari. Che pur di fargli una guerra senza tregua -di cui ho avvertito ieri sera i segni nel salotto televisivo di Lilli Gruber vedendo le reazioni agli apprezzamenti rivoltigli dall’ex amministratore delegato dell’Eni Franco Bernabè- non trovano nulla di illogico, di strano, di sospetto in un processo che si sta svolgendo in sette sedi e versioni, non solo a Milano, per indagini praticamente chieste in questo senso dai giudici, anzi dalle giudici di primo grado che lo condannarono nel 2013 per prostituzione minorile e concussione ma furono poi smentite, con sentenze di assoluzione, fra il 2014 e il 2015, dai giudici di secondo e terzo grado. Che non mi sembrano sospettabili, per ragioni di buon senso, di condivisione delle valutazioni delle giudici di primo grado. E’ un pasticcio logico, più che un pluriprocesso.

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