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Borrelli Berlusconi

Berlusconi, Borrelli e il Famedio

La nota di Paola Sacchi

Nessuno, chissà forse neppure i familiari, potrebbe ergersi a portavoce di un “illustre” morto, ma forse neppure nessuno a titolo mediatico dello stesso potrebbe presumere cosa avrebbe fatto o non fatto. Inserire o no il nome di Silvio Berlusconi, quattro volte premier, imprenditore italiano e internazionale, fondatore del centrodestra, accanto a sé stesso, l’ ‘illustre’ Francesco Saverio Borrelli ? Si è davvero sicuri che lui, illustre magistrato, ex capo di fatto del pool “mani pulite” ,  lo avrebbe voluto accanto nel Famedio di Milano?
Questi, di seguito, i ricordi di una ex inviata speciale, allora per l’Unità , sul caso Craxi, ultimi giorni in Tunisia. Erano i giorni in cui gli inviati speciali non capivano un tubo. Mandavano ai rispettivi giornali corrispondenze evanescenti. Ce ne voleva a scriverle per quasi tre mesi di seguito tra Roma-Tunisi-Hammamet. Ovvero, il triangolo nel quale si svolgeva una tragedia personale, familiare e soprattutto politica nazionale. Gli inviati speciali non stavano, come appare nel pur bel film ‘Hammamet’, sotto l’Hopital Militaire di Tunisi, la miglior struttura ospedaliera che l’allora presidente tunisino Zine El Abidine Ben Alì potesse offrire all’illustre “paziente italano”, per parafrasare il titolo del celebre film a quei tempi: “Il paziente inglese”. Stazionavano quegli inviati nelle hall degli hotel a ridosso. A rassicurare i rispettivi direttori di giornale italiani che sì Bettino Craxi non sarebbe morto quella maledetta mattina del 30 novembre 1999, dopo la disperata operazione definita ad “alto rischio” dagli stessi esperti sanitari, tunisini e italiani. Tra cui quelli volati a Tunisi dal S.Raffaele di Milano su un aereo privato Fininvest, per volontà di Silvio Berlusconi e Don Verzè . No, Craxi non morì quel giorno.
Accadde il 19 gennaio, un mese e quasi venti giorni dopo, a causa del cuore che già tutti sapevano non ce l’avrebbe fatta. Probabilmente sarebbe accaduto, viste le sue ormai compromesse condizioni fisiche, anche a Milano, magari qualche mese più tardi. Giusto il tempo per assicurare allo statista, ex premier socialista un po’ di tempo in più per curarsi e soprattutto poter trascorrere almeno alcune settimane ancora, con la sospensione dell’arresto, nella sua Milano e nella sua Italia, in cui era stato alla guida del più longevo governo della cosiddetta Prima Repubblica. E no. Francesco Saverio Borrelli si oppose fermissimamente: Craxi torni in Italia, ma con due carabinieri fuori dalla porta della stanza di ospedale. Raggelato anche l’ultimo tentativo del premier Massimo D’Alema di far ritornare Craxi in Italia per curarsi con salvacondotto. Meriti dell’illustre magistrato Borrelli? Probabilmente sì, ma non in quel caso apparvero tali agli inviati speciali di tutte le tendenze, ammutoliti di fronte concretamente al “Caso C”, mentre in quella mattina del 30 novembre 1999 il nostro ex premier veniva operato su un lettino arrugginito , e con un infermiere che teneva la lampada ferma, all’Hopital Militaire. Uscirono per primi dopo ore i fratelli Craxi, Stefania e Bobo.
Infine, nel primo pomeriggio la signora Anna Craxi. Avvicinata da noi, sempre signorile e la più discreta ex first lady: “Tutto bene. Ci vediamo domani. State tranquilli. Bettino ha già chiesto: de l’eau, s’ il vous plait”. Quel martedì 30 novembre 1999 dopo un po’ di pioggia la mattina presto, tornò il sole, con la solita folla variopinta di Tunis-Carthage. Celebre nella storia per quel “delenda est”.
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