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Giorgetti

Berlusconi attapirato sul Quirinale?

Fatti, umori, parole e sbuffi nella corsa - o nella battaglia? - al Quirinale. I Graffi di Damato

 

Come le foglie d’autunno sugli alberi della celebre poesia di Giuseppe Ungaretti, cadono una ad una le ipocrisie sparse dietro la cortina dell’opportunità, del buon gusto, del rispetto personale per il presidente della Repubblica uscente e quant’altro sulla strada della sua successione. Persino il paludato Corriere della Sera, pur fermandosi ancora a metà della prima pagina, senza salire in testa col titolo di cosiddetta apertura, ha chiamato “battaglia” quella in corso per il Quirinale.

Per quanto ne abbia già viste, anzi vissute da politico varie edizioni, in particolare quelle conclusesi con l’elezione di Carlo Azeglio Ciampi, di Giorgio Napolitano e di Sergio Mattarella, l’astuto ma pur sempre vulnerabile Silvio Berlusconi ha cominciato a sentire puzza di bruciato attorno alla sua candidatura al Quirinale: non formalizzata, per carità, com’è appena tornato a dire il fedele Antonio Tajani, ma dalla quale egli stesso ha curiosamente detto in pubblico di “non volersi tirare indietro”.

In particolare, l’ex presidente del Consiglio, come si capisce da un retroscena di Francesco Verderami sul Corriere della Sera farcito di virgolettati, ha cominciato a sospettare che i suoi alleati di centrodestra si siano asserragliati attorno alla sua scalata al Colle più per finta che per convinzione, trasformando la sua in una delle tante “candidature di bandiera” praticate nelle corse al Quirinale, prima di essere abbandonate per convergere su altre più realistiche. Lui naturalmente a questo gioco non si presterebbe tirandosi indietro al “penultimo momento”. E facendo interrompere le operazioni di “persuasione” – di shopping secondo gli avversari del Fatto Quotidiano – condotte dai suoi uomini di fiducia, ma a volta anche direttamente da lui, sul ventre molle, diciamo così, del Parlamento costituito dai 290 fra senatori e deputati che dall’inizio della legislatura hanno cambiato gruppo,

La foglia più rumorosamente caduta dall’albero delle finzioni sulla strada del Quirinale è quella sinora del potente ministro leghista Giancarlo Giorgetti. Che, pur schiaffeggiando addirittura, secondo Il Foglio, l’amico e superiore Matteo Salvini per i pasticci che continuerebbe a compiere sull’evoluzione della Lega in senso europeista, ne ha accreditato e rilanciato la disponibilità all’elezione di Mario Draghi al Colle, dopo i bagni di autorevolezza fatti al G20 di Roma. I timori di interromperne rovinosamente l’azione di governo a Palazzo Chigi, con tutti gli impegni assunti con l’Unione Europeo in cambio del finanziamento del piano della ripresa da realizzare entro il 2026, sarebbero infondati perché Draghi -ha spiegato Giorgetti- continuerebbe dal Quirinale a guidare “il convoglio” dell’Italia. Egli realizzerebbe una specie di “semipresidenzialismo” occultato dalla nomina di un presidente del Consiglio di strettissima fiducia.

Sarebbe naturalmente secondo il solito Fatto Quotidiano, in sintonia con l’altrettanto solito Giuseppe Conte, un “golpetto contro la Carta”, cioè contro la Costituzione, ma non una novità ipocritamente ignorata da fior di politici e analisti scandalizzatisi per le dichiarazioni di Giorgetti. Il compianto Carlo Azeglio Ciampi raccontò ancora in vita di essersi sentito chiedere dall’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, nel 1993, di predisporre una nuova legge elettorale con la quale riportare gli italiani alle urne il più presto possibile. L’ex governatore della Banca d’Italia, pur scettico per la poca competenza al riguardo, si allineò per l’impegno assunto dallo stesso Scalfaro di farlo assistere nell’opera direttamente dagli “uffici del Quirinale”.

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