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Berlino

La storia straordinaria del “ponte delle spie” di Berlino

Se non fosse per il cartello celebrativo sul ciglio della strada, niente farebbe pensare che su un ponte sul fiume Havel correva uno dei confini più strategici della guerra fredda. L'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino.

Gli ultimi ad aggirarsi con fare circospetto tra le arcate del Glienicker Brücke, il ponte delle spie tra Berlino e Potsdam, sono stati due volti noti del cinema americano: Steven Spielberg e Tom Hanks. Erano i giorni delle riprese del film poi sbarcato nei cinema italiani proprio con il titolo “Il ponte delle spie”, e uno stralunato Hanks, reduce da notti insonni a Wroclaw, dove per motivi di ambientazione architettonica era stata girata gran parte della pellicola, passeggiava nervosamente sull’asfalto sorseggiando al gelo una fumosa tazza di tè.

Durante le riprese fece una capatina anche Angela Merkel, a quei tempi ancora cancelliera, a riassaporare qualche atmosfera di quella guerra fredda che lei aveva vissuto dall’altra parte della barricata.

Finite le riprese, smontate luci e carrozzoni, quel ponte è ritornato preda dell’ordinario traffico dei pendolari, che scivolano tra le antiche campane verdi del ponte quasi dimentichi del valore simbolico di quello che a tutti gli effetti può essere considerato un monumento.

Se non fosse per il cartello celebrativo sul ciglio della strada, infatti, niente farebbe pensare che su questo ponte sul fiume Havel correva uno dei confini più strategici della guerra fredda. A guardarsi intorno, almeno nelle giornate di sole, sembra di essere capitati in un angolo di paradiso. Fino alla seconda guerra mondiale, era un tratto della famosa carrozzabile che collegava i due estremi del Reich tedesco, la Reichstrasse 1: Aquisgrana a ovest, nel cuore della Renania occidentale e Königsberg a est, l’odierna Kaliningrad russa, città sull’estremo orientale del Baltico che diede i natali a Immanuel Kant. Adesso questa strada unisce più sobriamente i benestanti sobborghi sud-occidentali della capitale alla nobile città di Federico il Grande.

L’asfalto si srotola nella foresta berlinese, fra betulle e faggi strapazzati dal vento. Il traffico automobilistico è spesso rado, ma accanto corrono due piste ciclabili molto più affollate, sulle quali si affannano ciclisti di ogni genere: sportivi strappati al Tour de France, anziani cocciuti, studenti carichi di libri,  giovani famiglie con marmocchi al rimorchio e, in estate, bagnanti in fuga verso i laghi. Qua e là occhieggiano gli specchi d’acqua del Wansee e dell’Havel, il lago e il fiume che fanno di questa periferia dorata, schiacciata fra Berlino e Potsdam, un angolo di Finlandia trapiantato nel Brandeburgo.

Da sempre è il luogo delle gite fuori porta dei berlinesi. Ci venivano durante il fine settimana già ai tempi del Kaiser, poi nei dorati anni Venti e anche negli anni del nazismo, quando venne costruito il primo stabilimento balneare, lo Strandbad Wannsee, un complesso in stile neoclassico che ricorda le architetture squadrate di Sabaudia. E ci venivano anche ai tempi del Muro, ma solo i berlinesi dell’Ovest, ai quali gli spazi verdi e blu del Wannsee davano l’illusione di sfuggire alla claustrofobia della cortina di ferro. Ma ci si doveva bloccare comunque a qualche metro dal ponte, perché in quel punto la realtà della guerra fredda si ripresentava in forme di torrette e filo spinato.

Oggi, superati gli archi ed entrati ufficialmente nel Brandeburgo, colpisce l’occhio una bella ed elegante palazzina turrita, color crema, costruita a metà dell’Ottocento in stile italiano. È Villa Schöningen, riportata all’antico splendore da un recente lavoro di restauro. Custodisce le memorie degli anni divisi, le mappe di confine, le uniformi dei Vopos, i resti del filo spinato, le sbarre di frontiera e una collezione infinita di foto e filmati che ripercorrono la storia di questo checkpoint. Ai tempi della Ddr era sede di un asilo e, per quasi quarant’anni, bambini e maestre hanno trascorso giornate di svago all’ombra di uno dei confini più misteriosi d’Europa.

Il Glienicker Brücke, in quanto passaggio di confine fra Berlino Ovest e la Ddr, si era guadagnato negli anni il soprannome di ponte delle spie. Nel 2015 ne ha rispolverato la memoria il regista Steven Spielberg, girandovi un film proprio così intitolato (Bridge of Spies) con Tom Hanks e Mark Rylance, che conquistò anche un Oscar.

Era infatti qui all’ombra dei suoi archi verdi, in tempi in cui non c’erano WikiLeaks o Bellingcat e lo spionaggio era un’arte avventurosa e pericolosissima da sviluppare sul campo, che le due superpotenze Usa e Urss avevano concordato di disputare il grande gioco delle spie. Nella competizione fra due mondi, due sistemi politici, due ideologie era decisivo spiarsi, carpirsi i segreti, anticipare le mosse dell’avversario. E per farlo non c’era posto migliore di Berlino, sdoppiata in due avamposti militari, Est contro Ovest, divisa da un Muro invalicabile per tutti ma non per uomini scaltri, titolari di contraffatti salvacondotti diplomatici.

Avventure romanzate nei grandi libri degli scrittori di spy stories, da Len Deighton a John Le Carré. Ci si inseguiva e ci si nascondeva, spionaggio e controspionaggio, fino a quando qualcuno finiva impigliato nella rete, con il rischio di restarci per sempre. Era in quei momenti che il Glienicker Brücke tornava utile: perché lì le due superpotenze avevano deciso che di tanto in tanto si sarebbero reciprocamente restituite le spie arrestate.

La scelta del luogo maturò dopo lunghe e accurate discussioni. Il ponte era in un posto isolato, con scarso traffico ma comunque vicino a due grandi città e con spazi sufficienti da un lato e dall’altro per organizzare le operazioni in sicurezza. I russi potevano seguire gli sviluppi dall’alto di una palazzina vicina utilizzata come centro di osservazione del Kgb.

Tre furono i grandi scambi della guerra fredda. Il primo incontro avvenne il 10 febbraio 1962, in una mattinata nevosa. È l’operazione sceneggiata dal film di Spielberg. Gli uomini della Cia fecero andare dall’altra parte Rudolf Ivanovich Abel, inglese d’origine passato a carpire segreti per la Russia bolscevica e ottennero in cambio Francis Gary Powers, pilota di aviazione, abbattuto e catturato durante un volo segreto nei cieli russi con il suo U-2. Il segreto dell’operazione non durò a lungo e scarne notizie comparirono sulle prime pagine dei quotidiani occidentali.

Il secondo scambio avvenne oltre vent’anni dopo, quando il clima tra le due superpotenze era già avviato verso la distensione. Correva l’11 giugno 1985 e sulle due sponde del ponte si assemblarono 23 persone (tra prigionieri politici e informatori) liberate dalle carceri della Ddr e 4 top-spie del blocco comunista cadute nella rete della Cia. Protagonista delle trattative fu l’avvocato Wolfgang Vogel, che per conto di Erich Honecker mediò per anni tutte le situazioni più complesse con la controparte tedesco-occidentale.

Fu lui l’artefice anche del terzo e ultimo scambio, forse il più sensazionale, sia per la presenza in forze di giornalisti e telecamere che per la qualità delle pedine scambiate. I sovietici si decisero infatti a liberare all’Ovest il matematico ebreo Anatolij Borisovic Saranskij, uno dei maggiori esponenti del dissenso, ex interprete di Andrej Sacharow e fondatore del movimento d’opposizione Refusenik. Colui che diventerà ripetutamente ministro di Israele con il nome di Natan Sharansky, venne fatto incamminare da solo sull’asfalto del ponte, prima di tutti gli altri, perché gli americani avevano ottenuto che la sua liberazione avvenisse come dissidente e non come spia. Le immagini di quel giorno lo mostrano impacciato mentre si tiene con le mani la vita dei pantaloni: i sovietici gli avevano fatto un ultimo affronto, consegnandogli un calzone troppo largo e senza cintura e lui, invece di camminare dritto come gli era stato ordinato, raggiunse il territorio di Berlino Ovest zigzagando a destra e sinistra. In totale 4 persone passarono a Ovest e 5 a Est, tra cui due numeri uno dello spionaggio sovietico come i coniugi cecoslovacchi Karel e Hana Köcher. Ancora tre anni e il Muro sarebbe venuto giù.

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