Nonostante siano passati diciannove mesi dall’inizio della guerra in Ucraina sono ancora centinaia le aziende straniere che mantengono una presenza in Russia, tra cui brand famosi come Pepsi e Ritter Sport. Un approfondimento della Bbc entra nel merito dei motivi per cui quelle società hanno deciso di restare in un Paese forte – ed è già una prima risposta – di 145 milioni di consumatori e di un Pil da 2.24 trilioni di dollari. Ecco cosa scrive l’autorevole testata giornalistica britannica.
Le aziende che sono uscite…
All’indomani dello scoppio della Guerra in Ucraina, sottolinea la Bbc, furono moltissime le società straniere che decisero di abbandonare la Russia.
Una delle prime ad uscire da quel mercato fu, ad appena tre giorni dall’inizio delle ostilità, British Petroleum, seguita poche settimane dopo da BMW che il 1° marzo 2022 annunciò l’interruzione della produzione in Russia e delle importazioni da quel Paese. Dal canto suo Heineken avrebbe scelto di vendere, per la somma simbolica di un euro, il suo business russo all’azienda russa di packaging Arnest.
Secondo il Kyiv School of Economics Institute (KSE) sono state circa 300 le aziende straniere a lasciare la Russia, ma lo Yale School of Management’s Chief Executive Leadership Institute (CELI), che adotta altri criteri, sarebbero state più di mille.
… e quelle che sono rimaste
Altrettante se non più, tuttavia, hanno deciso di restare: secondo il KSE Institute ben 1.400 compagnie stanno conducendo affari in qualche forma nel Paese; per il CELI sarebbero circa 500.
Il nome più riconoscibile nella lista KSE è PepsiCo. Ma nel suo elenco ci sono anche giganti Tech come la cinese Alibaba così come il colosso farmaceutico AstraZeneca. Tra le compagnie aeree ancora attive si segnalano Emirates, China Eastern e Air Serbia. Il gigante indiano delle raffinerie Chennai Petroleum sta addirittura espandendo le sue operazioni.
Perché restare?
Le aziende che hanno deciso di continuare a operare in Russia lo hanno fatto per una varietà di motivazioni, la più semplice delle quali è la solvibilità finanziaria.
Per molte aziende è semplicemente impossibile rinunciare ai flussi di entrate da un Paese che ha una popolazione di 145 milioni di abitanti e un Pil di 224 trilioni di dollari.
Significativa appare la testimonianza di Andreas Rasche, docente di Business in society presso il Copenaghen Business School’s Centre for Sustainability, relativa al caso del brand tedesco del cioccolato Ritter Sport che vende ancora i suoi prodotti in Russia. “La società – rimarca il docente – ottiene dalla Russia il 7% di tutte le sue entrate. Non lascia quel mercato semplicemente perché le farebbe potenzialmente molto male”.
Per colossi del settore petrolifero come SLB, Halliburton e Baker Hughes, che hanno continuato a importare dalla Russia anche dopo l’inizio della guerra, c’è stata invece una ragione cogente come l’impossibilità di tagliare del tutto i ponti con un grande produttore energetico come la Russia.
Per altri il problema era costituito dalla difficoltà a disfarsi delle proprietà russe alla luce di una normativa che penalizza simili operazioni. Bbc ricorda che il Cremlino ha varato alla fine del 2022 una legge che obbliga le società straniere che vogliano vendere i propri asset russi a farli stimare da un’agenzia governativa per poi venderli a metà del loro valore.
E se c’è stato chi, come Heineken, ha venduto lo stesso i suoi asset rimettendoci molto, altri non se la sono sentita ben sapendo che, spesso e volentieri, gli asset messi in vendita finiscono nelle mani degli oligarchi russi.
Nel caso specifico di AstraZeneca, le ragioni per restare sono state di tipo etico, essendo la società attiva nella produzione di beni indispensabili come i farmaci e i vaccini. In un comunicato diffuso il mese scorso la compagnia britannico-svedese ha ribadito questo punto: “i pazienti dipendono dai nostri medicinali essenziali e salvavita, ed è fondamentale che le supply chain mediche continuino ad operare consentendo ai sistemi sanitari di fornire le cure essenziali”.
Rischi futuri
Ma il prezzo da pagare per chi ha deciso di rimanere in Russia potrebbe essere in prospettiva molto alto, soprattutto in termini di reputazione.
Jeffrey Sonnenfeld, fondatore dello Yale Chief Executive Leadership Institute, evoca quello che successe alle aziende straniere che operavano nel Terzo Reich, che dopo la Guerra furono considerate collaboratrici dei nazisti.
Esiste un serio pericolo ed è quello del boicottaggio da parte die consumatori in giro per il mondo. Basta chiedere a Israele, oggetto da anni della violenta campagna del cosiddetto BDS (Boycott Disinvest Sanction).
Eppure la storia di un brand globale come Nike, che negli anni Novanta fu al centro di clamorosi scandali legati alle pessime condizioni di lavoro nelle sue fabbriche in Asia, sta lì a dimostrare che non sempre i danni di immagine sono duraturi.
Ma il vero motivo per cui restare in Russia rappresenta un rischio rimanda al crescente isolamento di Mosca e alla possibilità che il Paese si ritrovi in prospettiva ad assomigliare alla Corea del Nord, che è tutto tranne che un mercato appetibile.
È per questo che il prof. Rasche è convinto che il numero delle aziende straniere in Russia sia destinato fatalmente ad assottigliarsi.