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Cosa succederà alla Regione Liguria?

Centrodestra e centrosinistra alle prese con il caso Liguria dopo l'arresto del presidente Toti.

Dovevano essere le elezioni più a rischio di divisioni interne nella maggioranza di governo poiché si corre con il proporzionale. E invece, nonostante la titolazione di Repubblica, che vede uno scontro interno al centrodestra, la clamorosa vicenda ligure con al centro gli arresti domiciliari del governatore Giovanni Toti, dalle modalità spettacolari che ricordano i tempi di Tangentopoli, sta diventando un collante per il centrodestra.

La maggioranza fa quadrato attorno a Toti per il quale il provvedimento cautelare è scattato dopo cinque mesi dalla richiesta da parte del Pm e a conclusione di un’inchiesta di ben quattro anni. Una tempistica sulla quale il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, si è detto subito “perplesso“. C’è poi una tempistica tutta politica, che non riguarda le osservazioni di Nordio, ma che sta sotto tutti i riflettori: Toti viene arrestato in piena campagna elettorale per le Europee e per le Amministrative in moltissimi Comuni. No alle dimissioni, quindi, da parte del centrodestra. “Sarebbe una resa”, avverte Matteo Salvini. “Una resa – spiega il leader della Lega, vicepremier e titolare del Mit – perché domani qualunque inchiesta, avviso di garanzia o rinvio a giudizio porterebbe alle dimissioni di un sindaco o di un amministratore”.

“Non sono in condizione di suggerire niente a Giovanni, che ritengo un ottimo amministratore. In Italia e in tutti i Paesi civili – sottolinea Salvini – qualcuno è colpevole se condannato in tre gradi di giudizio. Non basta un’inchiesta, lo invito a dimostrare che ha lavorato correttamente e spero che i giudici gli diano con velocità la possibilità di farlo”. Il segretario di Forza Italia, vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani: “Nessun imbarazzo. Io sono garantista come per tutti e sono convinto che farà di tutto per dimostrare l’estraneità ai fatti di cui è accusato”. E sull’ipotesi di elezioni anticipate: “È una cosa che riguarda i cittadini della Liguria. Non strumentalizziamo le vicende giudiziarie, vediamo che cosa accade. Ma non mi pare un motivo per decidere adesso di andare a votare”.

Tajani avverte la sinistra: “Questa vicenda non deve essere strumentalizzata nemmeno da quei partiti che sono in difficoltà e sperano di recuperare con delle elezioni anticipate. Serve prudenza”. E il responsabile nazionale organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli: “Toti dice che non ha nessun coinvolgimento e lo dimostrerà, quindi diamoci il tempo di vedere esattamente cosa emerge”. “Rimane – continua l’esponente di FdI – la presunzione di innocenza. Toti ha dichiarato che riuscirà a dimostrare la sua estraneità a qualsiasi accusa e ovviamente c’è fiducia anche nella giustizia italiana. Quindi, ho fiducia sia in lui sia nella giustizia”.

Quella di FdI continua ad apparire una posizione più fredda di quella dell’asse tra FI e Lega. Ma anche FdI ora cambia registro rispetto all’iniziale apertura per le elezioni anticipate in Liguria che aveva ipotizzato il coordinatore regionale di FdI, Matteo Rosso e che ora però sembra cambiare registro.

Se il centrodestra è sostanzialmente compatto, il centrosinistra è spaccato. Al coro “Dimissioni, dimissioni” intonato a sinistra da Elly Schlein e Giuseppe Conte, che rivendica, secondo lo schema del continuo duello con il Pd, di aver sollevato per primo sulla Puglia e le vicende della giunta di Michele Emiliano “la questione morale”, si contrappone Matteo Renzi. Il leader di Iv è netto: “Servono riforme, io gli avversari li voglio battere politicamente”. E anche il leader di Azione, Carlo Calenda, si mostra più cauto dei dem.

Il Pd, anche in occasione del primo scontro a distanza sul premierato tra il premier Giorgia Meloni e la segretaria Schlein , è come asserragliato in una battaglia in cui prevale la parola “contro”, non seguita da controproposte. Schlein invita a “frapporre i corpi” contro il premierato e l’Autonomia e con questa parola d’ordine il Pd andrà in piazza il 2 giugno. Meloni, in un convegno a Montecitorio, replica: “Io lavoro per una riforma con un consenso più ampio ma quando la risposta è ‘la fermeremo con i nostri corpi’, la vedo dura. Se si ponesse una questione di merito, posso rispondere, così è un po’ più difficile”.

Prosegue Meloni: “Ci sono due strade: gettare la spugna o proseguire e lasciare un’altra possibilità, chiedere agli italiani: è una possibilità che credo debba essere esplorata”. Anche se, osserva, “sarebbe meglio non arrivare a un referendum divisivo, ma la Repubblica è nata da un referendum divisivo, ed è stato un bene: è la democrazia e i padri costituenti hanno deciso che questa fosse una possibilità”. L’obiettivo è affermare “il diritto dei cittadini di decidere da chi farsi governare”.

Ma da sinistra le parole d’ordine sono ormai “contro, contro” e “dimissioni, dimissioni” in un clima elettorale avvelenato dalla vicenda giudiziaria ligure. E il frullatore del circo mediatico giudiziario con tanto di spezzoni di intercettazioni con frasi decontestualizate e neppure significative riprende a impazzare. Proprio nel momento in cui si sta avviando la discussione anche sulla riforma della giustizia con la separazione delle carriere.

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