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Apostolico fonderà una Repubblica fondata sulle procure?

Il caso Apostolico e gli altri non sono i soli a segnare uno sconfinamento delle corti rispetto all’applicazione delle leggi. Il commento di Giuliano Cazzola

 

Nell’affrontare i temi e i casi giudiziari siamo tutti andati a scuola dalle procure: sia le indagini che le difese non si basano più sulla ricerca di prove o di controprove, ma sullo sputtanamento. Così le magistrature inquirenti passano la velina al cronista amico che pubblica la trascrizione delle intercettazioni delle telefonate all’amante per mettere in cattiva luce l’esponente politico sul quale si indaga con lo scopo di trovare qualche elemento che consenta – come si dice – di aprire un fascicolo e inviare un avviso di garanzia (prima anticipato a mezzo stampa, poi per iscritto all’interessato).

Nel caso della giudice di Catania, Iolanda Apostolico, si sta seguendo lo stesso metodo. Si è andati alla ricerca di video che rivelano comportamenti discutibili, certamente inopportuni (come la presenza in manifestazioni pubbliche) ma destinati a “finire in cavalleria” in nome della libertà di opinione di ogni cittadino. Del resto è provato che, a fare carriera, sono i magistrati che partecipano abitualmente ai talk show criticando le leggi approvate dal Parlamento o quelli che si inventano – senza prove – congiure tenebrose dello Stato parallelo alle quali partecipano le più importanti autorità istituzionali.

Nei video pubblicati, la dottoressa Apostolico sta in mezzo a gruppi di scalmanati con un’aria sperduta, come se fosse intenta a recuperare il cane smarrito nella calca. Per inseguire la pista dello sputtanamento si è smarrito il solo aspetto “eversivo” della sua ordinanza in (dis)applicazione del decreto Cutro: non spetta a un giudice di merito stabilire che una legge promulgata con tutti i canoni previsti è illegittima, quando la procedura corretta è quella di sollevare il quesito di costituzionalità e chiedere una decisione della Consulta. Non a caso le colleghe e i colleghi che hanno annullato altri provvedimenti delle autorità amministrative nei confronti di immigrati clandestini si sono avvalsi di una procedura formalmente corretta (anche se un po’ forzata in mancanza di effettivi accertamenti a conferma delle dichiarazioni degli interessati): hanno ritenuto che a quelle fattispecie non si applicasse il decreto Cutro senza erigersi a giudici delle leggi. Potremmo poi indicare un florilegio (non tutti i fiori profumano) di sentenza a favore dei no vax, sospesi dal lavoro perché privi del green pass. Anche in questi casi i giudici contestano la legittimità delle leggi che hanno stabilito le misure precauzionali alla diffusione del contagio, spingendosi fino a rilasciare pareri parascientifici sulla sua efficacia in base a ragionamenti che farebbero la loro figura nei bar Sport della provincia e non in un’aula di tribunale.

Purtroppo il caso Apostolico e gli altri non sono i soli a segnare uno sconfinamento delle corti rispetto all’applicazione delle leggi. Si stagliano clamorose, per la loro autorevolezza, le sentenze – emesse ormai a raffica – dalla Suprema Corte di Cassazione sul potere del giudice nel determinare, a prescindere da ciò che stabiliscono i contratti e prescrivono le leggi stesse, quale sia la retribuzione proporzionata e sufficiente di cui all’articolo 36 Cost. Queste sentenze sono state definite storiche, senza chiarire che la storia è ricca anche di abusi e di iniquità. Si tratta infatti di sentenze “eversive” di una giurisprudenza consolidata da decenni, in base alla quale il giudice si limitava a convalidare quanto stabilito nei contratti sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative, perché è giusto che siano questi soggetti a riconoscere, in una dialettica di interessi, la giusta retribuzione. Ma sta succedendo di peggio.

La procura di Milano ha scoperto un nuovo filone nel campo del diritto penale e ha indagato – strumentalmente – le maggiori società di vigilanza privata per caporalato e sfruttamento dei lavoratori, sottoponendole, come prima misura, al controllo giudiziale che è in sostanza un commissariamento. La Mondialpol ha capito l’antifona ed è corsa ai ripari decidendo unilateralmente un sostanzioso aumento scaglionato per il personale. Preso atto del “ravvedimento operoso” la procura ha revocato il controllo. Il medesimo trattamento è stato rivolto anche a Sicuritalia e a Cosmopol, le quali hanno capito l’antifona: se vogliono continuare a gestire l’azienda devono sottoporsi ad un’anomala estorsione e pagare il riscatto. Il tutto rimanendo soltanto nel campo delle indagini, senza che debba pronunciarsi un giudice. Ma la Cassazione – sul piano civile – ha indicato la strada da seguire senza scomodare il diritto penale.

Nella Repubblica fondata sulle procure bisogna accontentarsi.

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