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Arnese

Ansuini, Funiciello, Arcuri, Amendola e Ricciardi. Novità, conferme e incognite nel governo Draghi

Fatti, nomi, numeri, curiosità e polemiche. I tweet di Michele Arnese, direttore di Start, non solo su Draghi, Ansuini, Funiciello, Arcuri e Ricciardi

 

IL PIANO VACCINI DI SPERANZA E ARCURI? MISSIONE IMPOSSIBILE

 

ARCURI RESTA, TRANQUILLI

 

AMENDOLA TORNA, TRANQUILLI

 

I SOGNI DI RICCIARDI

 

CIAO CIAO TV

 

CHI E’ FUNICIELLO, CAPO DI GABINETTO DEL PREMIER DRAGHI

FUNICIELLO, CHI E’ (E DOVE HA LAVORATO) IL CAPO DI GABINETTO DI DRAGHI

 

DOSSIER LICENZIAMENTI

 

CASALINO NEL SALOTTO DI LILLI

 

QUISQUILIE & PINZILLACCHERE

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LA LETTERA DI MASSIMO GIANNINI, DIRETTORE DEL QUOTIDIANO LA STAMPA, AI GIORNALISTI:

Care amiche e cari amici,

dopo le ultime performance di diversi nostri colleghi sui social, mi vedo costretto a intervenire, e a richiamarvi all’ordine.

Nessuno può vietare a un privato cittadino di esprimersi come vuole nell’agorà digitale, ormai purtroppo infestata di haters e spesso trasformata in tavola calda per antropofagi.

Dunque non sarò io a vietare alcunché, né a conculcare diritti di libertà di espressione del proprio pensiero garantiti persino dalla Costituzione. Non sarebbe giusto e non avrebbe alcun senso.

Ma c’è un limite. Vi ricordo che il profilo di ciascuno di voi in rete nasce prima di tutto dalla vostra “appartenenza” a “La Stampa”, grazie alla quale ciò che scrivete assume un rilievo ben diverso da quello che avrebbe un tweet o un post di un internauta qualsiasi.

Di recente, come gruppo Gedi, abbiamo diffuso un apposito Codice Aziendale, etico e pratico, ad uso dei giornalisti del gruppo. Tra i tanti altri punti che tratta, ce n’è uno che riguarda proprio l’utilizzo dei social. Avete l’obbligo di rispettarne i dettami.

Quando scrivete su quelle piattaforme dovete rammentare comunque che siete giornalisti di questo giornale. E che i giudizi che date, di qualunque “segno” essi siano, finiscono sempre per riguardare l’intera nostra comunità.

Quindi vi rinnovo l’invito a mantenere un profilo alto e rispettoso del ruolo e della funzione che abbiamo. Ad essere equilibrati e a non tranciare giudizi un tanto al chilo, specialmente se quei

giudizi non riflettono quello che voi scrivete sul giornale o quello che il giornale adotta come “linea”. Ad evitare soprattutto di ingaggiare indecorosi “corpo a corpo” con gli interlocutori e/o gli odiatori occasionali e/o istituzionali, che quasi sempre finiscono per sconfinare nella triviale deriva politico-culturale di certi tipici anfratti del Web.

Un dibattito serio, anche in Rete, fa ricchezza. Dunque siate seri. E ricordatevi ciò che dovete a La Stampa: se quello che twittate o postate ottiene risposte e riscontri, in definitiva, questo dipende molto dal brand che avete alle spalle. E che per questo dal vostro attivismo digitale può subire conseguenze dirette e indirette. Tenetene conto.

Un caro saluto e buon lavoro a tutti

Il Direttore

Massimo Giannini

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ESTRATTO DELL’ARTICOLO DEL SOLE 24 ORE SUL PIANO VACCINAZIONE

Vaccinare 6 milioni di italiani entro marzo e tra questi la popolazione più fragile e a rischio morte per il Covid – i «grandi anziani» over 80 che sono ben 4,4 milioni – è ormai una missione impossibile. Il primo grande target fissato a inizio gennaio sembra infatti ormai quasi inavvicinabile, a meno che il nuovo Governo di Draghi non dia una accelerazione improvvisa passando dalle circa 20mila inoculazioni al giorno attuali ad almeno 100mila. Tante ne servirebbero in circa 40 giorni per vaccinare oltre 4 milioni di over 80, visto che finora solo poco più di 80mila hanno ricevuto la prima dose del vaccino, se si escludono gli ospiti delle Rsa.

La colpa di questo flop? Un po’ la carenza di materia prima – le dosi di vaccino che nelle settimane passate hanno subito dei tagli nelle consegne delle aziende – ma un po’ è anche la lentezza delle Regioni che stanno procedendo a rilento e in ordine sparso, alle prese in questi giorni con “click day” che mandano in tilt centralini e piattaforme on line e prenotazioni ancora da avviare. Inoltre va detto che in alcune regioni, in primis in Lombardia, si comincia a temere non solo per gli scarsi approvvigionamenti di dosi, ma anche per la carenza del personale medico.

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ESTRATTO DELL’ARTICOLO DI FABRIZIO RONCONE DEL CORRIERE DELLA SERA SU WALTER RICCIARDI:

Chi è, chi non è, chi si crede d’essere questo Gualtiero Ricciardi meglio noto con il nome di Walter, consigliere del ministero della Salute sempre molto rumoroso, ingombrante, molto incauto, molto tutto: ieri a lungo trending topic su Twitter per aver detto a Fabio Fazio e al Messaggero che servirebbe un nuovo lockdown totale per due, tre, quattro settimane o anche di più, inutile essere troppo precisi, poi si vedrà.

Che tipo. Un pomeriggio a lavorarci su (del giudizio di Stefania Sandrelli, che con lui recitò ai bei tempi andati del cinema, parleremo dopo).

Tanto per cominciare: gira voce che la cannonata mediatica delle ultime ore sia frutto di puro nervosismo. Ricciardi pensava infatti di diventare ministro. Non si capisce bene chi gli abbia messo in testa una simile possibilità. Magari s’è fomentato da solo: sono bravo, me lo merito, sarebbe giusto. Oppure è stato un amico mitomane: guarda che ho parlato con, tieniti pronto, è fatta, Draghi ti vuole con sé.

Comunque: deluso o no, quando le agenzie battono qualche sua dichiarazione, nessuno di noi, nei giornali, si stupisce ormai più di tanto. Ha 61 anni, medico, docente dell’Università Cattolica, ex presidente dell’Istituto superiore di sanità: «Ma, per favore, fatelo tacere — dice Giovanni Toti, il governatore della Liguria —. Ogni santa domenica Ricciardi ci ricorda che dobbiamo morire».

Anche se all’inizio l’aveva presa un po’ alla leggera. Il 6 febbraio del 2020, circa un anno fa, intervistato dal Sole 24 Ore, detta la sua previsione: «Questa epidemia si rivelerà meno pericolosa di un’influenza stagionale». Il 25 febbraio, nella prima uscita pubblica da consigliere del ministero, afferma: «Le mascherine? Alle persone sane non servono a niente». Poi, il 19 aprile, scatena un mezzo disastro diplomatico.

In una botta di antisovranismo militante, retwitta un video postato dal regista americano Michael Moore in cui un gruppo di persone prende a pugni un manichino che ha tutte le sembianze dell’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

Matteo Salvini, che era pazzo di Trump, andava in giro a dire di essere trumpiano, e insomma all’epoca tutto pensava tranne che di finire in un governo con Pd, 5 Stelle e quei veri sinistroidi di Leu, ne chiede le dimissioni immediate. Ma pure l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, interviene dura e spiega che «Ricciardi non parla a nome nostro» — perché — insomma — dico e non dico, com’è e come non è, Ricciardi ci aveva fatto un po’ capire il contrario.

L’Ansa, una mattina, batte una sua riflessione: «Il coronavirus va posto nei giusti termini. Su 100 persone malate, 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi seri ma gestibili, muore solo il 5%». Certo: intanto siamo arrivati a 93.835 morti e Ricciardi ha litigato, praticamente, con tutti.

Attilio Fontana, governatore lombardo: «Ricciardi si informi bene, prima di parlare». Vincenzo De Luca, governatore campano: «La mia regione procederà legalmente contro Ricciardi». Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna: «Ricciardi non ha competenze istituzionali, molte sue parole sono fuori luogo».

Annusa l’aria (quanto gli piace la politica: nel 2013 cercò invano di arrivare in Parlamento candidandosi con i montiani di Scelta civica in quota Italia Futura, la fondazione di Luca Cordero di Montezemolo).

E cosa sente nell’aria? Odore di nuovo. Così, a sorpresa — e si suppone senza concordare la richiesta con nessuno — invoca l’arrivo di Guido Bertolaso al comando della campagna vaccinale.

Va detto che al ministero lo lasciano parlare e non gli vanno quasi mai dietro. Ieri, ad un certo punto, un mezzo sospetto dev’essergli venuto. Perché — nel pieno della bufera provocata dalla sua proposta di nuovo lockdown — ha detto a Rainews 24: «Dimissioni? O sono utile, o mi faccio da parte».

Dovrebbe sapere come si esce di scena. È stato un attore promettente. «Da bambino, nel ‘68, finii per caso in una serie tv della Rai, I ragazzi di padre Tobia, che si registrava a Napoli, dove vivevo. Così, poi, ho continuato per un po’».

Recitò accanto a Mario Merola nel film L’ultimo guappo, in cui interpretava Roberto Aliprandi, figlio di Don Francesco Aliprandi (Merola). Aveva molti capelli, che poi — come capita — ha perso. Stefania Sandrelli, che lo incrociò sul set di Io sono mia, se lo ricorda bene. «Era bellino, era divertente».

Ricciardi tende a infilare queste parole nell’oblio. E preferisce ricordare che, pochi giorni fa, il Santo Padre lo ha nominato membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita (certo però diventare ministro sarebbe stato un brivido diverso, sia detto con il massimo rispetto).

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