La reazione del Partito democratico alla sconfitta referendaria è un’ulteriore dimostrazione della progressiva assimilazione culturale e antropologica del suo gruppo dirigente al Movimento 5 stelle, particolarmente evidente nel rapporto dei due partiti con la verità. Non perché, ovviamente, anche prima dell’abbraccio con Giuseppe Conte, i dirigenti del Pd non dicessero, come tutti, la loro quota di esagerazioni propagandistiche, mezze verità e bugie belle e buone. Capitava continuamente che facessero delle promesse, non le mantenessero e poi inventassero delle scuse.
Quello che non capitava era che dopo avere rivendicato, poniamo, un deficit al 2,4 per cento del pil, e avere dovuto fare marcia indietro, mettessero nero su bianco un grottesco 2,04, contando sul fatto che i loro elettori non avrebbero colto la differenza, che è esattamente quello che fecero i cinquestelle ai tempi del primo governo Conte. Ed è anche, cambiando il niente che c’è da cambiare, quello che hanno fatto ieri i dirigenti del Pd con la progressiva discesa, in picchiata, dei numeri contenuti nelle loro roboanti dichiarazioni, a partire da quell’incredibile «Grazie alle oltre 14 milioni di persone che hanno deciso di votare» pronunciato da Elly Schlein, per scendere poco dopo alla non meno incredibile card sui «13 milioni» messi a confronto con i 12 milioni di voti raccolti da Giorgia Meloni alle politiche. Inutile domandarsi se gli «oltre 14 milioni» di Schlein includano anche quelli andati a votare contro o siano semplicemente un’estrema forma di arrotondamento per eccesso.
Sta di fatto che i Sì hanno raccolto al massimo, nel quesito più votato, quello sul reintegro, 12 milioni 249 mila 432 voti. Il centrodestra, alle ultime politiche, 12 milioni 305 mila 14. Dunque, anche al di là del carattere pretestuoso e scorretto della comparazione, che ricorda l’illusione renziana di trasformare il 40 per cento di Sì al referendum costituzionale in altrettanti voti alle politiche (e infatti si è visto), il presunto obiettivo non è stato raggiunto nemmeno così (e probabilmente è per questo che Schlein, diversamente dalla card del suo partito, parla di persone «che hanno deciso di votare», mica che hanno votato Sì, con lo stesso compiacimento con cui Rocco Casalino suggeriva di scrivere 2,04 anziché 2).
Ancora più significativo è che tutte queste analisi del voto, di cui vi risparmio il florilegio, da Francesco Boccia a Goffredo Bettini, non prendono mai in considerazione il dato del referendum sulla cittadinanza, dove i Sì, ahimè, sono stati appena nove milioni. La differenza con i voti raccolti da Meloni alle politiche – fermo restando, ripetiamolo ancora una volta, che la comparazione è totalmente assurda, scorretta e pretestuosa – è di circa tre milioni di voti. Mi pare arduo definirla un’incollatura. Dunque, volendo trovare una spiegazione che non sia semplicemente il gusto per la menzogna pura e semplice, dobbiamo dedurne che per i vertici del Pd quel referendum non rappresenti la posizione del centrosinistra, magari perché proprio Conte aveva lasciato libertà di voto al riguardo. Ma allora lo si dica chiaramente. Si spieghi agli elettori che il nuovo centrosinistra a guida Pd-M5s sulla cittadinanza non ha alcuna posizione predefinita, ognuno farà come crede, mentre è compatto come una falange macedone sulla cancellazione delle leggi sul lavoro varate dieci anni fa dal Pd, e votate da quasi tutto il suo attuale gruppo dirigente. Sbaglierò, ma continuo a pensare che finché il Partito democratico resterà su questa strada Meloni potrà dormire sonni tranquilli.
(Estratto dalla newsletter La Linea)