Negli ultimi anni, la crescente vulnerabilità del Canale di Suez ha richiamato l’attenzione della comunità internazionale, evidenziando la necessità di trovare alternative che garantiscano la continuità del traffico commerciale globale. Questa instabilità è stata in parte accentuata dall’incidente della nave portacontainer Ever Given nel 2021, che bloccò il canale interrompendo per giorni il transito delle merci, evidenziando i rischi connessi a una rotta che gestisce circa il 12% del traffico marittimo mondiale. A questo evento si sono aggiunti gli attacchi ricorrenti dei ribelli Houthi nello stretto di Bab el-Mandeb, che collega il Mar Rosso al Golfo di Aden. Tali attacchi hanno gravemente influenzato il traffico commerciale, rendendo sempre più pericoloso per gli operatori l’uso di questa rotta. La situazione ha portato a un calo significativo delle navi in transito nel Canale di Suez e a una riduzione delle entrate per l’Egitto, che dipende per circa il 2% del suo PIL dai diritti di passaggio. I dati sono eloquenti: tra giugno 2023 e giugno 2024, il numero di navi in transito è sceso da 25.911 a 20.148, con una riduzione drastica del 42,9% nel primo trimestre del 2024 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
L’instabilità del Canale di Suez ha spinto diversi attori regionali a esplorare alternative per collegare il Mar Rosso al Mediterraneo. Israele, ad esempio, ha rilanciato il progetto di un collegamento terrestre tra il porto di Eilat, situato sul Mar Rosso, e il porto di Ashdod, sul Mediterraneo. Tra le opzioni c’è una linea ferroviaria che ridurrebbe notevolmente i tempi di trasporto rispetto alla via marittima attraverso Suez, garantendo una connessione più diretta. Israele progetta da anni l’espansione della capacità logistica di Eilat, un porto creato nel 1952 per incentivare il commercio con i paesi dell’Oceano Indiano e aggirare le restrizioni storiche del Canale di Suez. Tuttavia, l’assenza di una rete ferroviaria che colleghi Eilat al resto del paese limita l’efficacia di questa rotta alternativa, e la crescente capacità militare degli Houthi, i cui missili potrebbero raggiungere Eilat, rappresenta una minaccia diretta. Il piano israeliano di trasformare Eilat in un centro logistico internazionale include investimenti in un nuovo aeroporto e nell’espansione ferroviaria, oltre alla creazione di una zona franca per attrarre investitori internazionali e stimolare l’economia del sud di Israele. Tuttavia, la situazione geopolitica della regione solleva interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine di tale progetto, dato che l’area è esposta a rischi di sicurezza continui.
Oltre al progetto di collegamento terrestre tra Eilat e Ashdod, Israele ha rilanciato l’idea del canale Ben Gurion, un ambizioso progetto di canale artificiale attraverso il deserto del Negev che connetterebbe direttamente il Mar Rosso al Mediterraneo. Questa iniziativa, proposta negli anni ’60 dagli Stati Uniti, prevedeva l’uso di esplosivi nucleari per scavare una via navigabile di circa 300 km, riducendo così la dipendenza dalla rotta di Suez. Sebbene il progetto sembri irrealistico dal punto di vista tecnico e politico, il canale Ben Gurion resta un’idea che Israele potrebbe considerare in caso di ulteriori deterioramenti nelle condizioni geopolitiche. La costruzione di tale canale priverebbe l’Egitto di una fonte di reddito cruciale, indebolendo la sua stabilità economica e modificando significativamente gli equilibri regionali. Un simile progetto potrebbe essere percepito come una provocazione politica, in quanto Israele diventerebbe il gestore di una rotta alternativa, riducendo l’importanza dell’Egitto nel commercio mondiale.
Un’altra alternativa al Canale di Suez è rappresentata dal progetto Development Road, un’iniziativa per collegare il porto di Al-Faw in Iraq con il porto di Mersin in Turchia. Questo progetto, promosso dal governo iracheno, includerebbe una linea ferroviaria e un’autostrada che attraversano l’Iraq, consentendo di collegare il Golfo Persico al Mediterraneo senza passare per il Mar Rosso. L’obiettivo è rendere Development Road una rotta commerciale stabile e sicura, alternativa alle rotte marittime che passano attraverso Bab el-Mandeb. Il progetto prevede lo sviluppo del porto di Al-Faw, destinato a diventare uno dei più grandi porti al mondo, con terminal per container e una capacità di movimentazione merci che ridurrebbe i tempi di trasporto tra Asia ed Europa.
La Turchia sostiene il progetto Development Road poiché rientra nella sua visione di diventare un hub geoeconomico che collega Asia, Europa e Medio Oriente. La cooperazione tra Iraq, Turchia, Qatar ed Emirati Arabi Uniti è stata ufficializzata tramite un protocollo d’intesa. Tuttavia, il progetto presenta sfide interne ed esterne, come l’inefficienza e la corruzione in Iraq, che potrebbero rallentare la costruzione, e le tensioni tra Turchia e Iraq riguardo alla presenza del PKK e alle controversie sull’uso delle acque dei fiumi Tigri ed Eufrate. Inoltre, la Turchia potrebbe essere scoraggiata dall’investire nel progetto a causa della sua esclusione dal corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC), sostenuto dagli Stati Uniti e volto a collegare l’Asia al Mediterraneo passando per Israele. Ankara percepisce l’IMEC come un’alternativa competitiva che potrebbe danneggiare i suoi interessi, aumentando la concorrenza per il controllo delle rotte commerciali.
Anche l’Iran vede con sospetto il progetto Development Road, percependolo come una minaccia alla propria influenza regionale. Teheran ha investito nell’espansione dei suoi porti strategici, come Bandar Abbas e Chabahar, con l’obiettivo di trasformare il suo territorio in un corridoio commerciale alternativo che collega il Golfo Persico all’Asia centrale e al Mediterraneo. Il progetto Development Road, bypassando l’Iran, ridurrebbe l’importanza delle rotte iraniane e rafforzerebbe invece i legami commerciali tra Iraq, Turchia e i paesi del Golfo, riducendo l’influenza economica e politica iraniana nella regione.
La Cina, principale partner commerciale dell’Iraq e promotrice dell’iniziativa Belt and Road, potrebbe vedere il progetto Development Road come un complemento ai suoi investimenti infrastrutturali globali, anche se esistono alternative meno rischiose. Un esempio è la nuova linea ferroviaria pianificata tra Cina, Uzbekistan e Kirghizistan, che rappresenta una via più sicura e meno costosa per collegare l’Asia centrale alla Turchia e all’Europa. In questo contesto, Pechino valuta attentamente le proprie scelte, considerando sia il potenziale economico di Development Road sia i rischi legati alla stabilità dell’Iraq.
La sicurezza e la stabilità del “sistema” Suez-Mar Rosso-Bab el-Mandeb rivestono un’importanza cruciale anche per l’Italia e per gli altri paesi che dipendono dalla continuità dei flussi commerciali tra Asia ed Europa. Se gli attacchi degli Houthi dovessero intensificarsi, la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente, minacciando la sicurezza marittima dell’Italia, che beneficia di una posizione strategica nel Mediterraneo. Considerando che lo stretto di Bab el-Mandeb è il punto chiave per mantenere il Mediterraneo collegato all’Oceano Indiano e all’Indo-Pacifico, la minaccia su questo choke point rappresenta un pericolo per la prosperità economica dell’Italia, che si basa su un Mediterraneo sicuro e accessibile.