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Aiuto, impera il neopaternalismo. Il pensiero di Ocone

“Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista

Diversi anni fa tenni una lezione alla Scuola di liberalismo della Fondazione Einaudi di Roma, che era allora presieduta da Valerio Zanone, che intitolai: “Paternalismo e perfezionismo: i due nemici del liberalismo”.

Non mi ricordo come svolsi la traccia: dovrei ritrovare gli appunti! Ma penso che, in negativo, quel titolo diceva molto sulla “essenza” del liberalismo. Al cui centro c’è l’uomo, che però è un essere finito e imperfetto, il cui relativo perfezionamento può avvenire solo attraverso l’esperienza diretta e personale e apprendendo dai propri errori (è il cosiddetto “fallibilismo”).

In questo senso, nessuno può pensare di tutelarci e garantirci da essi, così come non si può pensare di arrivare ad una verità definitiva o stabile.

Il cristianesimo esprime molto bene questi concetti, dicendo che l’uomo ha una dignità che lo fa superiore alla natura che egli è chiamato da Dio a dominare (non me ne abbiano i seguaci del gretismo o di papa Francesco!) in quanto è stato “fatto a sua immagine e somiglianza”, e quindi creatore.

Questa creatività deve però trovare un limite nel fatto che, nello stesso tempo, l’uomo è anche segnato dal “peccato originale”, e quindi non può mai aspirare ad essere perfetto come Dio.

È in questa essenza profondamente umana e cristiana che il liberalismo, così come l’ho sempre concepito, si è forgiato, non coincidendo affatto col progetto prometeico-illuministico-razionalistico che è proprio della modernità, al cui fianco esso pure ha lavorato contribuendo a temperarlo e appunto ad umanizzarlo.

Purtroppo la cultura politica oggi dominante in Italia sembra davvero muoversi in un altro orizzonte: sia da parte di chi ci governa, sia da quella di una buona fetta dell’opinione pubblica.

Certe parole e atteggiamenti di chi ci governa, ad esempio, da un lato, si spera siano solo “parole in libertà”, profferite per coprire retoricamente la (poca) sostanza delle decisioni prese; dall’altro, disegnano in prospettiva, per fortuna ancora remota, una via “cinese” di dispotismo “gentile”.

Ove la “gentilezza” consiste proprio nel paternalismo, cioè nell’idea di fondo che chi governa debba guidarci per non farci sbagliare perché sa come stanno le cose (la famosa épisteme opposta alla doxa: un ideale superato in filosofia almeno da due secoli a questa parte!), casomai perché è andato a lezione dagli scienziati.

È come se ci si considerasse dei bambini stupidi, incapaci di autonomia morale, cioè etimologicamente di darsi da sé le leggi del proprio comportamento. Come se, in cambio di una sicurezza parziale (l’assoluta è impossibile perché siamo finiti), che rimuove ad esempio ed esorcizza come non mai prima la morte, noi potessimo accettare tranquillamente di perdere la nostra libertà (e responsabilità), e cioè la nostra umanità.

Eppure, gli “scellerati”, cioè noi, spesso, come la monaca di Monza, “rispondono”, cioè accettano la “servitù volontaria”.

È una sorta di neopaternalismo, una categoria politica che io credo vada sviluppata perché dice molte cose sull’oggi, non solo per quel che concerne l’Italia (l’analista conservatore Jean Philippe Vincent è, ad esempio, intervenuto l’altro ieri su Le Figaro lanciando un grido d’allarme: “Francesi accettano di essere trattati dallo Stato come dei maggiorenni sotto tutela”).

E con il paternalismo ritornano idee che richiamano aberranti concetti contro cui i liberali hanno da sempre combattuto: ad esempio, la “verità di Stato”, oppure lo “Stato etico”, o meglio eticizzante sotto forma di una dittatura sanitaria a mala pena mascherata.

Strana nemesi per coloro che, come gli intellettuali di sinistra che hanno firmato un appello uscito su Il Manifesto, hanno predicato contro gli “imprenditori della paura” e ora si ritrovano a giustificare un potere che eleva ad ideale il “distanziamento sociale”, cioè proprio la paura più atavica, la paura di vivere!

Più in generale, sembra esserci un ritorno, più o meno propiziato e più o meno desiderato, a una concezione basica, oltre che infantile, della vita, e quindi anche dell’umanità, come ha efficacemente argomentato, sempre in settimana, Marcello Veneziani su La Verità.

Speriamo di salvarci, prima che sia troppo tardi.

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