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Chi vince e chi perde nell’accordo Ue-Usa sui dazi

Energia, automobili, farmaci, microchip e non solo: ecco chi sono i vincitori e i vinti dell'accordo sui dazi tra gli Stati Uniti e l'Unione europea.

Nell’accordo commerciale con gli Stati Uniti, raggiunto domenica, l’Unione europea si è impegnata ad acquistare energia americana dal valore di 250 miliardi di dollari all’anno per tre anni: 750 miliardi in tutto, quindi. La misura dovrebbe servire a riequilibrare la bilancia degli scambi, visto che nel 2024 l’Unione europea aveva un surplus di 198 miliardi di euro nel commercio di beni con gli Stati Uniti (surplus che scende a 50 miliardi se si conteggiano anche i servizi).

La cifra concordata, però, è di fatto impossibile da rispettare.

ENERGIA: UN IMPEGNO IMPOSSIBILE DA RISPETTARE

Innanzitutto, la Commissione europea – che ha negoziato l’accordo con l’amministrazione di Donald Trump – non ha poteri di acquirente: a fare gli ordini con gli esportatori energetici americani, quindi, non sarà Bruxelles bensì le aziende private (o parastatali) nei vari paesi dell’Unione.

Ma anche al di là di questo, l’impegno è irrealizzabile perché gli Stati Uniti – pur essendo i maggiori produttori di petrolio e gas naturale al mondo – non producono abbastanza energia. L’anno scorso, infatti, il paese ha esportato petrolio per circa 100 miliardi di dollari, gas liquefatto per circa 50 miliardi e carbone metallurgico (utilizzato nel ciclo dell’acciaio) per circa 10 miliardi: il totale è grossomodo di 160 miliardi di dollari, stando ai calcoli dell’analista Clyde Russell.

Significa che se anche l’Unione europea acquistasse tutta l’energia esportata dagli Stati Uniti, non sarebbe comunque sufficiente a onorare l’impegno: non si arriverebbe a 250 miliardi nemmeno conteggiando il combustibile nucleare e i derivati petroliferi. Nel 2024 il blocco ha importato greggio, gas liquefatto e carbone metallurgico americani per 64,5 miliardi di dollari.

LE AUTOMOBILI: BUONA NOTIZIA PER LA GERMANIA, MA…

Più concreta, invece, è la vittoria degli Stati Uniti nella sezione dell’accordo relativa all’automotive.

Le automobili europee esportate negli Stati Uniti saranno infatti soggette a un dazio del 15 per cento che sostituirà quello attuale, più alto, del 27,5 per cento. Si tratta di una notizia tutto sommato positiva soprattutto per la Germania, che è il maggiore paese esportatore di automobili dell’Unione europea, e per le case automobilistiche Volkswagen, Mercedes-Benz e Bmw.

In cambio, l’Unione europea ha azzerato il dazio sulle automobili americane, precedentemente fissato al 10 per cento.  A guadagnarci, insomma, saranno – probabilmente e principalmente – i gruppi automobilistici statunitensi.

L’AVIAZIONE: PARITÀ TRA AIRBUS E BOEING

Washington e Bruxelles hanno deciso di eliminare i dazi sul commercio bilaterale di aeromobili e relativi componenti: la filiera dell’aviazione è molto complessa e vulnerabile alle tariffe e ad altri tipi di barriere. Ma chi beneficerà maggiormente di questa decisione, l’industria europea o quella statunitense?

Secondo Politico, “sebbene Boeing [americana, ndr] possa aver beneficiato nel breve termine dei dazi imposti al suo concorrente Airbus [ha sede in Francia, ndr], gli analisti sottolineano che il produttore aeronautico statunitense avrebbe risentito maggiormente delle ritorsioni dell’Ue”. Inoltre, “alcune compagnie aeree statunitensi che utilizzano una flotta Airbus, come Delta Air Lines e Spirit Airlines, avrebbero subito l’impatto dei dazi sui loro fornitori europei”.

LA FARMACEUTICA: MALE PER L’IRLANDA, CHE RECUPERA SUL DIGITALE

Nell’accordo commerciale non rientrano i prodotti farmaceutici: al momento non ci sono dazi, ma la Commissione europea si aspetta dalla Casa Bianca una tariffa al 15 per cento non appena verrà completata l’indagine sul settore (i risultati dovrebbero venire annunciati tra due settimane). Saranno esclusi dai dazi, comunque, alcuni farmaci generici, ma non è ancora chiaro quali.

Le case farmaceutiche europee chiedono chiarezza, ma soprattutto di allungare il più possibile l’elenco dei farmaci generici non soggetti a dazi: si tratta infatti di prodotti poco remunerativi per le aziende, e lo diventerebbero ancora meno in presenza di tariffe.

Uno dei paesi europei più vulnerabile ai dazi sui farmaci è l’Irlanda, data la dimensione della sua industria farmaceutica: vi hanno sede Pfizer e Johnson & Johnson, tra le altre. Le esportazioni farmaceutiche irlandesi valgono circa 50 miliardi di euro all’anno.

Riferendosi all’accordo con gli Stati Uniti, Ibec – la più grande organizzazione di rappresentanza delle aziende irlandesi – ha detto che l’Unione europea è “capitolata”. Gli Stati Uniti, peraltro, sono la destinazione principale dell’export dell’Irlanda.

L’Irlanda, però, può essere contenta del fatto che l’accordo tra Unione europea e Stati Uniti non prevede nulla in materia di regolamentazione dell’economia digitale e della tassazione sulle compagnie tecnologiche: data la convenienza del suo regime fiscale, il paese è stato scelto da molte Big Tech statunitensi per insediarvi le loro sussidiarie europee.

I MICROCHIP: VITTORIA PER ASML E I PAESI BASSI

L’accordo contiene un’esenzione dai dazi anche per i cosiddetti macchinari di chipmaking, vale a dire gli apparecchi per la manifattura di semiconduttori. È una vittoria per Asml, azienda olandese che ha il monopolio globale sui sistemi di litografia ultravioletta estrema, un procedimento avanzato per la realizzazione di microchip.

Nelle scorse settimane Asml aveva fatto sapere che potrebbe non registrare una crescita nel 2026 proprio a causa dei dazi americani, che alimentano l’incertezza nel settore.

LA DIFESA: COSA VUOLE LA POLONIA

In aggiunta a quello sull’energia, l’accordo contiene anche un impegno, da parte dell’Unione europea, all’acquisto di “grandi quantità” di armamenti statunitensi: tuttavia, non sono noti né il valore economico dell’impegno, né la tipologia di armamenti che verranno comprati.

Sappiamo però che la Polonia, mossa dalla volontà di rafforzare l’esercito contro la minaccia russa, sta spendendo somme miliardarie per dotarsi di armi americane, come i sistemi di difesa missilistica Patriot, i caccia F-35 e i carrarmati Abrams. Il paese già destina il 4,7 per cento del proprio prodotto interno lordo alla spesa per la difesa, e il primo ministro Donald Tusk intende alzare la quota al 5 per cento.

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