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7 ottobre 2023, tutti gli errori dell’intelligence di Israele

Il disastro del 7 ottobre 2023 ha messo in luce una serie di gravi errori strategici e strutturali all’interno del sistema di sicurezza israeliano: ecco quali. L'analisi di Giuseppe Gagliano

Il disastro del 7 ottobre 2023 ha messo in luce una serie di gravi errori strategici e strutturali all’interno del sistema di sicurezza israeliano, che hanno portato al fallimento catastrofico del paese nel prevenire l’attacco coordinato di Hamas. La percezione di invulnerabilità costruita negli anni attraverso la sorveglianza tecnologica avanzata, unita alla sottovalutazione delle capacità del nemico, si è rivelata una pericolosa illusione. L’attacco di Hamas non solo ha dimostrato che il sistema di difesa di Israele era ben lontano dall’essere infallibile, ma ha anche messo in evidenza profonde falle nell’organizzazione e nella preparazione delle forze armate israeliane.

1. L’illusione del soluzionismo tecnologico

Uno dei principali errori che ha contribuito all’incapacità di Israele di prevenire l’attacco è stato l’eccessivo affidamento sulla tecnologia come unico strumento di controllo e sorveglianza. La costruzione di barriere sempre più sofisticate, sistemi di difesa automatizzati e l’uso massiccio di droni e sensori ha creato l’illusione di un controllo totale su Gaza. Questa ossessione per la soluzione tecnologica ha portato a trascurare l’intelligence umana e il lavoro sul campo, elementi fondamentali per comprendere le reali capacità e intenzioni di Hamas.

Israele aveva costruito un sistema di sorveglianza quasi completo sulla Striscia di Gaza, in grado di monitorare costantemente le comunicazioni e le attività all’interno del territorio, ma questo si è dimostrato insufficiente per prevenire un’operazione militare così complessa. Il sistema di difesa si basava su telecamere, sensori e mitragliatrici automatizzate, che Hamas è riuscito a disattivare con precisione durante l’attacco, mostrando quanto fosse vulnerabile un apparato che si credeva impenetrabile.

2. Disumanizzazione e sottovalutazione del nemico

Un altro grave errore è stata la sistematica disumanizzazione dei palestinesi, che ha portato a una sottovalutazione delle loro capacità strategiche. Per anni, l’apparato militare israeliano ha trattato Gaza e i suoi abitanti come una minaccia da gestire principalmente attraverso la repressione e il controllo, senza prendere seriamente in considerazione le motivazioni politiche e sociali alla base della resistenza palestinese. Questa disumanizzazione si è riflessa non solo nelle operazioni militari, ma anche nel modo in cui l’intelligence ha monitorato Gaza, riducendo l’analisi delle informazioni a un semplice esercizio algoritmico, senza cercare di comprendere appieno le dinamiche interne della popolazione e dei gruppi armati.

3. Politicizzazione dell’esercito e declino delle capacità operative

Negli ultimi decenni, l’esercito israeliano ha subito una trasformazione da forza di combattimento a esercito d’occupazione, concentrando gran parte delle sue risorse sul controllo dei Territori occupati piuttosto che sulla preparazione a conflitti convenzionali. Questo ha portato a un declino delle capacità operative, soprattutto nei reparti di comando e logistica. L’attacco del 7 ottobre ha evidenziato la difficoltà dell’esercito israeliano nel mobilitare rapidamente le truppe e organizzare una risposta efficace. La mancanza di mezzi di trasporto per le truppe, l’incapacità di coordinare un contrattacco tempestivo e la disorganizzazione generale sono stati il risultato di anni di sottovalutazione delle esigenze operative in un conflitto asimmetrico.

Inoltre, l’ingerenza politica nelle operazioni militari ha ulteriormente complicato la catena di comando. L’influenza crescente dei coloni e delle milizie locali, unita alla politicizzazione delle decisioni militari, ha ridotto l’efficacia dell’esercito e ha creato una cultura organizzativa in cui le azioni militari venivano spesso subordinate a considerazioni politiche.

4. L’illusione della stabilità

Infine, l’idea diffusa che Israele avesse “risolto” il problema palestinese attraverso l’isolamento di Gaza e la graduale annessione della Cisgiordania ha portato a un abbassamento della guardia. Dopo decenni di conflitto a bassa intensità, l’opinione pubblica israeliana e molti esponenti dell’apparato militare credevano che il conflitto con i palestinesi fosse ormai sotto controllo. Gaza era vista come una “gabbia” ben sorvegliata, incapace di rappresentare una vera minaccia. Questa convinzione ha contribuito a ignorare i segnali di allarme e a sottovalutare la capacità di Hamas di organizzare un attacco coordinato su larga scala.

L’attacco del 7 ottobre ha dimostrato che Israele non era affatto preparato per affrontare una simile minaccia e che la sua strategia di isolamento e controllo tecnologico era profondamente fallace. Il “muro di ferro” che doveva proteggere Israele si è rivelato un fragile strumento di propaganda, incapace di prevenire l’incursione di Hamas.

Conclusione

L’attacco del 7 ottobre è stato il risultato di una combinazione di errori strategici, strutturali e culturali che hanno reso Israele vulnerabile nonostante la sua apparente superiorità tecnologica e militare. L’eccessivo affidamento sulla tecnologia, la disumanizzazione del nemico, la politicizzazione dell’esercito e l’illusione di una stabilità raggiunta attraverso la repressione sono tutti fattori che hanno contribuito al fallimento di quel giorno. Se Israele vuole evitare che simili tragedie si ripetano, sarà necessario un profondo ripensamento della sua strategia di sicurezza, abbandonando l’illusione di poter risolvere il conflitto con la sola forza e tecnologia, e cercando soluzioni politiche durature.

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