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Giornalismo Digitale

Siamo tutti giornalisti. Come il digitale cambia l’informazione

Dal ruolo del giornalista alle fake news e al crollo delle vendite della carta stampata: come il digitale ha cambiato il mondo dell’informazione Diffusione rapida delle notizie, più fonti, meno (molto meno) carta stampata. E anche, più notizie false e attira condivisioni. Il digitale ha rivoluzionato il mondo del giornalismo, scardinando completamente le basi su…

Dal ruolo del giornalista alle fake news e al crollo delle vendite della carta stampata: come il digitale ha cambiato il mondo dell’informazione

Diffusione rapida delle notizie, più fonti, meno (molto meno) carta stampata. E anche, più notizie false e attira condivisioni. Il digitale ha rivoluzionato il mondo del giornalismo, scardinando completamente le basi su cui prima si fondava.

A fare la differenza, oggi come in futuro è il contenuto. Sarà quello che verrà scritto il petrolio dell’informazione. Ma non solo. Anche i grandi quotidiani, per sopravvivere, non possono dire no all’avvento del digitale e alle strategie che questo comporta. Ma andiamo con calma.

E’ la fine della carta stampata?

stampaIl giornalismo, dicevamo, è diventato sempre più web e più social e meno carta stampata. Lo studio «Italia Creativa», realizzato da EY (Ernst&Young) con il supporto delle principali Associazioni di categoria guidate da Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo e Siae, parla chiaro. Mentre tutti i settori creativi registrano una buona crescita, quello editoriale registra un calo superiore all’8% (2015 su 2014).

Quotidiani e periodici hanno registrato un valore economico pari a 4,7 miliardi di euro, in calo dell’8,3%. Diminuiscono anche gli occupati del settore, che sono 94.000, meno 4,6%.

Il giornalismo è sempre più digitale

Smartphone e Social Network hanno rivoluzionato la nostra vita e le nostre abitudini. Sono in tanti che la mattina hanno rinunciato a comprare il loro quotidiano preferito insieme al caffè, preferendo leggere le ultime notizie dalle edizioni digitali. Alcuni utilizzano le principali piattaforme social per capire, con un rapido sguardo, quali sono le novità più importanti della giornata. A pochi utenti della rete sfugge la condivisione di una notizia sul terremoto o di qualche altra catastrofe.

Il lettore è nomade. Non ha più un solo quotidiano di riferimento, ma legge le notizie da più fonti, che magari non consulta tutti i giorni (e che a volte non conosce nemmeno).

Dobbiamo ammetterlo, siamo nel bel mezzo di una mutazione irreversibile e piena di novità. Alcune buone e altre meno. Altre ancora non ci è dato saperlo, visto che il cambiamento è in corso.

Siamo tutti giornalisti

Ma quello che è cambiato non sono solo le fonti. Il nuovo social journalism ha modificato profondamente anche il ruolo del giornalista.

Ci spieghiamo: il giornalista professionista, quello che scrive i quotidiani per mestiere, per intenderci, ha modificato gli strumenti di lavoro, certo, sfruttando anche le potenzialità del web e del digitale. E avrà cambiato anche qualche regola nello scrivere. Un testo diffuso sul web è ben diverso da un articolo che andrà pubblicato su carta stampata.

giornalismo digitaleMa quello di cui stiamo parlando non è solo questo. Si tratta di una mutazione ancora più radicale, che possiamo ben spiegare con le parole di Jeff Jarvis, critico dei mezzi di informazione: “non ci sono giornalisti, c’è solo il giornalismo”, che è un servizio esercitato ormai ben oltre le mura di redazioni.

Anche John Lloyd, editorialista, tra gli altri, del Financial Times, sosteneva già nel 2014 che i giornalisti sono ormai condannati all’irrilevanza. Se prima i leader politici sfruttavano la stampa per far sapere il loro pensiero, oggi grazie ai social possono rivolgersi direttamente al loro pubblico. E non solo.
Anche l’utente comune, grazie alle nuove tecnologie, può fornire e condividere notizie di prima mano e diventare “giornalista”.

Quando il digitale salva un Giornale

Dicevamo che l’avvento del digitale ha portato modifiche buone e altre meno buone. Una buona novità? Quella che vede protagonista il salvataggio del Washington Post. Nel 2013, infatti, la situazione per uno dei quotidiani più famosi al mondo era davvero disperata.

I Graham avevano deciso di gettare la spugna, vendendo dopo ottant’anni di il gioiello di famiglia: il fatturato del gruppo era precipitato del 44%. Non restava altro da fare che passare il testimone. A chi? A Jeff Bezos, numero uno di Amazon, che aveva offerto un assegno da 250 milioni di dollari.

washington PostLa strada per far ritornare in auge la vecchia testata era quella degli investimenti. Bezos mise subito sul piatto 50 milioni di dollari, per portare il Washington Post al passo coi tempi. Nella squadra entrarono programmatori, web analyst, big data analyst, web designer e video editor. Si lavora tutti insieme, a stretto contatto con i giornalisti, per creare storie multimediali.

Ma non solo. Sono state lanciate 62 differenti newsletter per distribuire i contenuti, assieme a un’imponente attività social. Il quotidiano è tornato a macinare profitti, assumendo anche nuovi giornalisti.

Il lato oscuro del Social Journalism: le fake news

C’è anche, poi, il lato brutto del digitale. Sul web proliferano le fake news. Oggi invece tutti possono aprire un blog o un profilo su un social network e sviare la verità o inventare di sana pianta una notizia. Il lettore si mette sullo stesso piano di chi una notizia la produce. Attirano like, producono consenso politico, influenzano l’immagine che gli utenti si fanno di un personaggio.

Le bufale, negli ultimi mesi, sono abbondate. Nei minuti successivi al terremoto è girata sui social la bufala relativa ai gradi di magnitudo. Sul web si gridava al complotto, sostenendo come lo Stato avesse intenzionalmente fornito dati errati riguardo l’entità delle diverse scosse, abbassando la magnitudo per non pagare i danni ai cittadini.

fakeUna delle bufale più famose (e più credute) è quella riguardante la finta intervista rilasciata all’Huffington Post da Trump, dove si sosteneva come “la Statua della Libertà fosse un invito all’immigrazione sregolata”. Nonostante l’intervista sia stata
scritta in modo del tutto satirico alcune testate l’hanno presa per un fatto di cronaca.

Come i social combattono le fake news

Facebook e Twitter hanno deciso di scendere in campo contro le fake news aggiornando algoritmi e addestrandoli affinchè ri-conoscano le bufale.

Facebook, per esempio, utilizzerà un ampio campione di pagine note per diffondere notizie sensazionalistiche o false per addestrare l’algoritmo a riconoscere le caratteristiche peculiari delle fake news. E non solo. Un algoritmo predittivo che analizzerà in tempo reale il numero di like, commenti e condivisioni che i post stanno generando, allo scopo di mostrare in cima al newsfeed degli utenti quelli di maggior successo, aumentandone tempestivamente la visibilità.

Anche Twitter ha deciso di combattere le bufale. Il social guidato da Jacke Dorsey, si impegna a cancellare gli account abusivi, proverà a migliorare il motore di ricerca interno in modo che elimini i risultati meno affidabili, ed eliminerà anche i tweet che riportano false notizie. E ancora: Jack Dorsey promette l’identificazione degli utenti che sono stati bannati dagli altri profili, con l’obiettivo di impedire la creazione di nuovi account.

Sir Tim Berners Lee lancia campagna contro Fake news

Sir Tim Berners Lee , l’inventore del web, ha lanciato il suo piano per contrastare la proliferazione delle notizie false, ma ammette che si tratta di una sfida “di lungo termine”, dall’esito incerto. Si tratta di una missione trasparenza: ricercatori e operatori della rete sono tenuti a contribuire ad affrontare il problema con soluzioni pratiche che aiutino a tutelare ad un tempo l’affidabilità di ciò viene pubblicato e la ‘democrazia’ di un web dove vi siano “poteri uguali e opportunità per tutti”. Dunque, Berners Lee si opppone a ogni tentativo di lasciare a governi, authority e piattaforme aziendali il potere di “stabilire quali notizie siano vere e quali no”.

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