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Lego

Perchè Lego è in crisi?

Se Lego è in crisi è (anche) colpa del digitale. Cala il fatturato. Pronti 1.400 licenziamenti    Lego è in crisi. La leggendaria azienda dei mattoncini, che fa divertire grandi e piccini vede calare i suoi profitti ed è costretta a licenziare l’8% della sua forza lavoro. Tutta (o quasi) colpa del digitale. Ma Lego…

Se Lego è in crisi è (anche) colpa del digitale. Cala il fatturato. Pronti 1.400 licenziamenti 

 

Lego è in crisi. La leggendaria azienda dei mattoncini, che fa divertire grandi e piccini vede calare i suoi profitti ed è costretta a licenziare l’8% della sua forza lavoro. Tutta (o quasi) colpa del digitale. Ma Lego ha già sorpreso una volta, nel 2004.

Profitti in calo

LegoPartiamo dai numeri, davvero negativi. Lego, in difficoltà per il calo delle vendite negli Stati Uniti e in Europa, registra un calo di redditività e annuncia il taglio di 1.400 posti in tutto il mondo, circa l’8% della sua forza lavoro.

Il primo semestre si è chiuso in rosso: il colosso dei mattoncini che si incastrano, infatti, ha registrato un calo del fatturato del 5% a 14,9 miliardi di corone (2 miliardi di euro) e un calo del 3% del risultato netto a 3,4 miliardi.

“Siamo delusi dalla diminuzione dei ricavi nei nostri mercati consolidati e abbiamo adottato delle misure per affrontare questo problema”, ha dichiarato il presidente di Lego, Jorgen Vig Knudstorp. La società attualmente impiega circa 18.200 persone.

Non è la primi crisi

Lego è nata grazie all’intuizione di un falegname, Ole Kirk Kristiansen, che a partire dal 1916 si dedicò a produrre miniature di arredi interni. Solo nel 1932, però, nasce “Lego” (“leg godt” – “gioca bene”): i primi giocattoli erano in legno. Poi arrivò la plastica e anche un grande successo: a partire dagli anni ’70, con l’introduzione dei mini-personaggi con arti orientabili, l’ascesa della società danese sembrava essere inarrestabile. Almeno fino al 2003.

Nel 2004, infatti, l’azienda, messa in piedi da un carpentiere danese negli anni ‘30, ha subito un crollo del fatturato, per poi rinascere e ritornare sul mercato più forte. A un passo dal fallimento, l’azienda dei mattoncini di plastica, ha scelto di rilanciare il suo brand puntando sull’elettronica e la robotica: a partire da quella crisi, infatti, grazie a piccoli mattoncini era possibile dar vita ad oggetti che si muovono e si comandano con un computer.

L’idea è piaciuta tantissimo ai fan di Lego e l’azienda ha registrato sempre una crescita a doppia cifra, scalzando anche la Ferrari dal podio di brand più potente del mondo.

Ma cosa è successo?

Lego piace ancora, anche se i numeri del fatturato calano. Piccoli e grandi costruiscono e sognano grazie a quei mattoncini, ma lo fanno molto (molto) meno. Colpa dell’avvento del digitale: videogames, console e tablet hanno invaso negli ultimi anni le nostre case, catturando l’attenzione dei nostri figli. E i mattoncini colorati fanno fatica a reggere il confronto.

Confronto, poi, reso più difficile dalla nascita di Minecraft, un app creata da un programmatore svedese nel 2009, che basa il gioco proprio su dei mattoncini. Il gioco ha avuto talmente tanto successo che la Microsoft ha comprato l’azienda nel 2014 per 2.5 miliardi di dollari.

Dicevamo dei mattoncini di Minecraft: è possibile costruire tutto, come con i Lego, si da spazio alla fantasia, anche se si limita la manualità. Per costruire basta toccare e spostare con un dito mattoncino e materiali.

Lego ci stupirà ancora?

legoLa fine non è certo arrivata: nel 2016 i ricavi erano aumentati del 6 per cento, raggiungendo i 37,8 miliardi di corone danesi (circa 50 milioni di euro). Lego può ancora stupire tutti. Potrebbe, per esempio, approcciarsi al digitale: e i mattoncini potrebbero arrivare sul tablet.

Non sarà certo facile, però. Come ha raccontato Jorgen Vig Knudstorp, attuale presidente di Lego e ceo della società per 12 anni fino al dicembre scorso, Lego, negli ultimi cinque anni, è stata protagonista da una organizzazione sempre più complessa che ora “rende difficile crescere ancora. Come risultato abbiamo premuto il tasto reset per l’intero gruppo”.

“Costruiremo una organizzazione più piccola e meno complessa in modo da raggiungere più bambini possibile. E questo avrà anche un impatto sui nostri costi”, ha continuato Jorgen Vig Knudstorp.

E non solo. “Troveremo più opportunità per coinvolgere genitori e bambini e combinare l’esperienza fisica del costruire con quella digitale. Siamo delusi dal declino dei ricavi nei nostri mercati consolidati ma siamo fiduciosi di avere il potenziale a lungo termine per raggiungere più bambini in Europa e Stati Uniti. E vediamo anche grandi opportunità di crescere in mercati in crescita come la Cina”, ha detto Knudstorp.

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