La multa a Google potrebbe avere effetti a cascata per le altre aziende che fondano il loro business sugli algoritmi
Non solo una punizione a Google. L’obiettivo della multa Ue di 2,42 miliardi inflitta a Big G potrebbe essere quello di creare un precedente e spingere gli altri colossi del tech a rivedere la pianificazione dei profitti derivanti da alcuni dei loro servizi più popolari. Lo sostiene, per esempio, il Wall Street Journal, analizzando i motivi di una multa così pesante. Ma andiamo per gradi.
La multa Ue a Google
La Commissione Europea non ha certo fatto sconti a Google. Bruxelles, ha imposto una multa record da 2,42 miliardi di euro a Big G. per aver “abusato della sua posizione dominante sul mercato della ricerca per promuovere il suo servizio di comparazione dello shopping nei suoi risultati, declassando quelli dei suoi concorrenti. Quello che ha fatto è illegale per le regole Antitrust”, ha spiegato la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager.
In pratica, quando un utente effettua una ricerca su Google di un prodotto che intende acquistare, il servizio shopping di Google gli propone le varie possibilità accanto ai risultati in alto, dando piena visibilità. I servizi di comparazione degli acquisti dei suoi rivali, invece, vengono posizionati nella colonna risultati generici, selezionati dagli algoritmi generici.
Questo ha portato il colosso di Mountain View a negare “alle altre aziende la possibilità di competere sui loro meriti e di innovare”, e “più importante ancora ha negato ai consumatori Ue una scelta genuina di servizi”. Dunque, la multa “tiene in considerazione la durata e la gravità dell’infrazione”, ed è calcolata sulla base del valore dei ricavi che Google ha fatto sul servizio shopping.
Google sarebbe entrata nel mercato delle comparazioni di prodotti destinati all’e-commerce nel 2004, evolvendo il proprio sistema di confronto negli anni e fino ad arrivare, nel 2013, a Google Shopping, ovvero ad una piattaforma che permette ai consumatori di confrontare prodotti e prezzi online e accedere ai servizi di vendita dei produttori, di altre piattaforme (come Amazon o eBay) e di altri rivenditori.
Big G. non avrebbe sfruttato subito questa sua posizione predominante tra i canali di ricerca. Solo a partire dal 2008, infatti, il colosso tecnologico ha iniziato a sfruttare la sua leadership nelle ricerche generalizzate per convogliare il traffico sul comparatore di casa, dando maggior risalto al suo servizio di comparazione degli acquisti.
Quello di cui è accusato Google non è certo di poco conto. I consumatori, infatti, secondo le indagini e i dati della Commissione Ue, cliccano molto più spesso sui prodotti più visibili, e quindi su quelli sponsorizzati da Google: i risultati visualizzati nella prima pagina di apertura della ricerca conquistano il 95% di tutti i click, quelli sulla seconda solo l’1%. La Commissione ha anche quantificato il vantaggio che questa pratica avrebbe garantito all’azienda Usa: un incremento del traffico di 45 volte nel Regno Unito, 35 in Germania, 19 in Francia, 29 nei Paesi Bassi, 17 in Spagna e 14 in Italia. Questo beneficio a fronte di riduzioni nel traffico di alcuni concorrenti, retrocessi nell’elenco dei risultati di ricerca, pari all’85% nel Regno Unito, dell’80% in Francia e fino al 92% in Germania.
È la prima multa ad un algoritmo
La multa non è di poco conto: è la prima inflitta ad un algoritmo. Ad essere colpevole, per esempio, nello scontro tra Mario Monto e Microsoft (accusata di posizione dominante dei software precaricati con il pacchetto Office sui personal computer) , non era un algoritmo.
E non si trattava di algoritmi nel caso della multa record dell’UE ad Apple, accusata di non pagare le tasse nei Paesi in cui registra i suoi incassi.
Con Google, ma non solo, oggi gli algoritmi sembrano essere diventati una bacchetta magica che apre numerose porte, nonostante dovrebbe essere sinonimo di neutralità e intelligenza artificiale. Così non è però, gli algoritmi non sono solo formule matematiche che dovrebbero garantire la democrazia, ma sistemi dietro cui le aziende fondano il proprio business. Dietro un algoritmo si nascondono uomini e interessi economici.
Un avvertimento agli altri colossi tech
Colpe a parte, dobbiamo dire che, l’UE ci è andata davvero pesante. E il motivo, per il Wall Street Journal, è molto semplice: creare un precedente e lanciare a tutte gli altri big un messaggio importante.
I quesiti trattati nella decisione Ue contro Google, infatti, riguardano le aree in cui la maggior parte delle aziende della Silicon Valley (e non solo) hanno introdotto le maggiori innovazioni. E dopo la risposta di Google all’Ue (attesa entro 90 giorni) e le future decisioni, numerose aziende, secondo il Wall Street Journal, saranno costrette ad apportare modifiche sostanziali ai loro modelli di business. Parliamo, per esempio, di Amazon e Facebook. Ma ad essere in pericolo, sempre come scrive il Wall Street Journal, sono anche altri servizi di Google, come quello dei viaggi.
A pensarla come il Wall Street Journal è anche The Guardian, convinto che la decisione potrebbe impattare non solo su Google ma anche sugli altri Big, dal momento che obiettivo della Commissione Ue sia quello di riequilibrare il potere delle compagnie web globali. Il Times scrive che la multa rappresenta un passo avanti importante per la regolamentazione del commercio in Rete.
L’avvertimento è che offrire un servizio gratuito per il consumatore, non detto che sia neutrale e senza effetti per il mercato. Un algoritmo non sempre è democratico.