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Investitori Covid

Ecco come cambieranno i comportamenti degli investitori

Come cambiano i comportamenti degli investitori durante Covid-19. Il commento a cura di Andrea Rocchetti, Head of Investment Advisory di Moneyfarm

Durante i periodi di crisi gli investitori sono sottoposti a un livello di stress molto elevato. Nell’ultimo trimestre abbiamo assistito a una volatilità di mercato fuori dalla norma e questa situazione amplifica ancora di più alcune condotte che possono essere in qualche misura attribuite a bias (ovvero distorsioni) comportamentali e cognitivi.

I bias comportamentali e cognitivi fanno parte del normale comportamento degli investitori, ma in quest’ultimo periodo, con l’attenzione sempre più focalizzata sugli investimenti e il maggiore stress emotivo legato all’alta volatilità a cui abbiamo assistito sui mercati, diventano ancora più rilevanti. In particolare, poniamo l’accento sull’avversione al rischio e sull’overconfidence (che in un certo senso rappresentano due facce della stessa medaglia), oltre che sul cosiddetto confirmation bias (bias di conferma) che riguarda il modo in cui vengono fruite le informazioni. Queste tre distorsioni del comportamento tendono a rafforzarsi reciprocamente e a mescolarsi con altre tendenze durante periodi estremamente volatili.

AVVERSIONE AL RISCHIO

Partiamo da uno dei bias logicamente più prevalenti in questo periodo, l’avversione al rischio. Quando siamo esposti a una situazione di crisi siamo portati naturalmente a una diversa percezione del rischio che ci spinge verso atteggiamenti di protezione o cautela. Quando si parla di investimenti infatti diventa più probabile prendere decisioni irrazionali e percepire come più sicure strategie orientate al breve termine, a discapito di scelte lungimiranti.

Per avere un’idea della portata del fenomeno, possiamo analizzare i flussi del risparmio gestito riportati dalle mappe mensili di Assogestioni: da inizio anno il trend pare essere chiarissimo, con la fuga dai fondi di lungo termine e con maggiore volatilità come fondi azionari e flessibili (-€6.7mld e -€7.5mld rispettivamente) per un dato complessivo di -€21.1 miliardi, e lo spostamento verso fondi meno volatili come quelli monetari per un totale di +€6.5mld da inizio anno, di cui +€6.1 miliardi solo a marzo. In termini relativi, l’asset class monetaria ha avuto raccolta netta positiva pari ad oltre il 15% sulle masse; di segno opposto i fondi flessibili che hanno registrato un 3% di raccolta netta sulle masse. Nel complesso l’industria italiana del risparmio gestito ha registrato oltre €13.7 miliardi di deflussi netti solo nei primi 3 mesi dell’anno: un evidente cambio di tendenza rispetto all’ultimo trimestre del 2019 (+17.7mld), che ben evidenzia la ricerca di strumenti di protezione e di tutela. Molti di questi movimenti hanno seguito l’onda lunga dell’emotività. Liquidare la propria posizione può diventare un rischio se porta a scelte di investimento in grado di compromettere le prospettive di rendimento di lungo termine di un investimento.

Un indizio di comportamenti anomali da parte degli investitori arriva anche dal fronte dei Piani Individuali di Risparmio (i PIR), strumento di lungo termine per la clientela retail che offre un beneficio fiscale a patto che si resti investiti per almeno 5 anni. Ebbene, la raccolta da inizio anno è negativa per oltre €640 milioni (oltre la metà nel solo mese di marzo – fonte Plus24 del 19/04/20), e ci ricorda che non c’è beneficio fiscale che tenga senza metodo e pianificazione, soprattutto in un contesto di alta volatilità. I mesi che ci separano dalla fine dell’anno saranno critici per invertire la tendenza. Le famiglie italiane detengono già una componente molto elevata della propria ricchezza in strumenti di liquidità infruttuosi (circa €1.500 miliardi, più di un terzo dell’intera ricchezza finanziaria secondo Banca d’Italia) o in beni immobili (quasi il 60% della ricchezza complessiva, rispetto al 33% USA o al 47% UK). Eppure, solo la partecipazione ai mercati finanziari – se fatta con metodo e pianificazione – può aiutare davvero a proteggere il valore del proprio patrimonio attraverso la diversificazione.

OVERCONFIDENCE

Accanto al bias dell’avversione al rischio se ne cela un altro: l’overconfidence. Contrariamente a quanto si possa pensare, molti studi hanno dimostrato la persistenza di questo bias anche nei periodi di forte volatilità. Durante l’ultimo mese le ricerche effettuate su Google riguardanti i servizi di trading online sono cresciute del 50%. All’aumentare della volatilità abbiamo assistito a un crescente interesse dell’investitore retail per asset class particolarmente volatili. Si prenda ad esempio il recente caso del petrolio: le masse in gestione sulle Exchange Traded Commodities (ETC) energetiche sono aumentate del 100% da fine marzo al 27 aprile, nonostante una performance di circa -50% nello stesso periodo (fonte: elaborazione Moneyfarm dati Bloomberg).

Secondo il Sole 24 Ore (articolo del 3/04/20), su alcune piattaforme di puro trading online le posizioni aperte sono cresciute del 300% e i volumi delle operazioni del 200%. Si tratta di una modalità speculativa d’investimento, tipicamente fai-da-te e focalizzata su strumenti spesso e volentieri altamente volatili come CFD (Contract for Difference, strumenti derivati) e criptovalute, diversi dagli strumenti del risparmio gestito. Se torniamo ai numeri di Assogestioni sopra citati, questa tendenza è ancor più degna di un’attenta disamina. La ragione va ricercata in parte in dinamiche di “gamification” che questo tipo di servizi offrono agli utenti e che naturalmente hanno ancor più margine di successo nei momenti di quarantena (abbiamo visto il boom di servizi di intrattenimento da casa come console o gioco d’azzardo online) ma si spiega anche, appunto, attraverso l’overconfidence che si scatena negli investitori che vogliono provare a salire sul carro del vincitore pensando che durante i periodi di volatilità sia più facile fare profitto attraverso operazioni di tipo speculativo.

Nel loro approccio comunicativo le piattaforme di trading online cercano proprio di fare leva sul bias dell’overconfidence degli investitori, esaltando l’abilità di pochi nell’ottenere risultati elevati nel brevissimo termine. Alcune di queste società potrebbero addirittura non essere autorizzate alla prestazione di servizi di investimento e non a caso Consob, l’autorità che vigila su tutte le imprese di investimento italiane, è intervenuta a tal proposito invitando le famiglie italiane a diffidare delle proposte di investimento: “che assicurano un rendimento molto alto e non in linea con quelli di mercato” evidenziando che “alla promessa di alti rendimenti corrispondono di regola rischi molto elevati o, in alcuni casi, addirittura tentativi di truffa.” Senza voler fare di tutta l’erba un fascio vale la pena ricordare che il fai-da-te non tutela completamente gli investitori perché li espone a strumenti finanziari spesso complessi e potenzialmente inadeguati al loro profilo (conoscenze finanziarie, attitudine al rischio, situazione patrimoniale, ecc.). Alcuni degli strumenti acquistabili tramite piattaforme di trading, quali i CFD e le opzioni binarie, sono stati anche oggetto di restrizioni da parte delle autorità europee di vigilanza, a conferma della loro rischiosità nelle mani degli investitori retail. Tutt’oggi nell’area pubblica Avvisi ai risparmiatori del sito del regolatore si susseguono avvisi di oscuramento di piattaforme abusive di trading: da luglio 2019 sono quasi 200 i siti degli intermediari finanziari abusivi operanti in Italia complessivamente oscurati da Consob.

CONFIRMATION BIAS

In uno scenario dominato da incertezza e preoccupazione per il futuro come quello che stiamo vivendo oggi, diventa rilevante anche il cosiddetto confirmation bias che si manifesta quando le persone selezionano (più o meno direttamente) prove che tendono a confermare una visione dei fatti precostituita, ignorando le evidenze contrarie. Da quando è scoppiata l’emergenza Covid-19 molto si è parlato di questo bias per spiegare il comportamento spesso ondivago delle autorità politiche, ma questo tipo di comportamento ha effetti lampanti anche sul comportamento degli investitori.

Tradizionalmente il confirmation bias nel mondo degli investimenti è associato alla presunta drammatizzazione delle notizie finanziarie da parte dei media. In un panorama in cui l’informazione viene sempre più consumata attraverso canali non tradizionali che non offrono una mediazione professionale delle notizie e monotematici, questo bias diventa sempre più pericoloso. Un recente studio (Perä, Miika 2015), per esempio, ha dimostrato che chi investe nelle criptovalute tende a focalizzarsi principalmente su canali monotematici, spesso e volentieri in conflitto di interessi, che non fanno altro che rafforzare l’esigenza di investire. Un aspetto meno studiato, ma che nella crisi può alimentare questo bias, riguarda le ricerche online effettuate sui motori di ricerca. Oggi siamo molto più autonomi nel reperimento delle informazioni, i motori di ricerca si presentano molto flessibili, performanti, “assecondano” in un certo senso l’utente: l’algoritmo di Google nell’indicizzazione dei risultati delle ricerche premia, ordinandoli per primi, i contenuti coerenti ad esse. Ma se la ricerca è in capo all’investitore stesso, che digita in autonomia la sua query, anche l’informazione che otterrà sarà influenzata dai presupposti della ricerca. L’algoritmo, inoltre, tiene conto delle ricerche pregresse, dei siti visitati, dei comportamenti tenuti durante le navigazioni precedenti: tutto questo influenza i risultati. Guardando i volumi di ricerca ci si accorge che negli ultimi tre mesi le ricerche su parole chiave come “vendita azioni”, “grande recessione” e anche “crisi del ‘29” sono aumentate fino a cinque volte con picchi proprio nei giorni di maggiore volatilità.

QUALE ANTIDOTO CONTRO I BIAS?

In questo scenario complesso dove volatilità, bias degli investitori e dei media si intrecciano in modo turbinoso, il modo migliore per aiutare l’investitore a effettuare le scelte giuste è ancora, e a maggior ragione, la consulenza. I numeri riportati recentemente da Assoreti confermano che le reti dei consulenti finanziari hanno retto meglio di tanti operatori del risparmio gestito l’impatto della crisi: registrano infatti +€11.6 miliardi di raccolta netta positiva (positiva, sebbene di soli €76 milioni, anche su strumenti di risparmio gestito). Certo, anche la raccolta delle reti risulta influenzata dalle incertezze sui mercati (oltre €9mld sono confluiti in liquidità e quasi €2.0mld della raccolta “gestita” è confluita in strumenti previdenziali per circa €200mln e assicurativi per €1.8mld) ma è altrettanto evidente che questa tipologia di investitori ha avuto comportamenti decisamente meno volatili, è stata meno vulnerabile alle incertezze di questo periodo.

L’industria del risparmio continua a essere la miglior garanzia per gli investitori, specialmente in momenti in cui il mercato finanziario è messo a dura prova. Resta infatti l’unica soluzione in grado di offrire al risparmiatore una serie di tutele che, periodicamente e costantemente, vengono riviste, migliorate e rafforzate lungo tutto la filiera. Si pensi a Mifid, ai migliorati requisiti minimi per il personale addetto alla relazione con la clientela, fino all’individuazione del cosiddetto target market da parte della Società Prodotto. Già, ma quali investitori oggi possono godere di queste garanzie? Solo il 15% della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, pari al 10% degli investitori, ha accesso oggi a un servizio di consulenza evoluta o di tipo continuativo (fonte Bird & Bird su intervista a Plus 24 del 24/04/20) e questo dato è ancor più rilevante visto il livello (basso) di educazione finanziaria della popolazione italiana e i bias cognitivi più diffusi che abbiamo passato in rassegna. Eppure, mai come in uno scenario come questo, in cui le opportunità di investimento si moltiplicano al pari dei rischi, gli investitori hanno bisogno di consulenza, specialmente indipendente e priva di conflitti di interesse. I numerosi investitori che fanno parte del cosiddetto segmento mass market (ma anche mass affluent), potrebbero trovare più semplice e accessibile il fai-da-te e sarebbe un grave errore non fornirgli un’alternativa: l’industria deve continuare a farsi scegliere, ma deve anche scegliere di seguire questi clienti che spesso, ricevono servizi meno personalizzati.

Questo risultato può essere raggiunto favorendo scalabilità e accessibilità, abbracciando la tecnologia e il modello digitale in tutte le sue forme. L’industria del risparmio gestito, specialmente in momenti come questo, può giocare un ruolo chiave nel democratizzare i servizi d’investimento di qualità, senza lasciare indietro nessuno.

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